I veri videogiocatori di un tempo..
Inviato: 30/10/2011, 10:50
Ho trovato in Internet questo racconto davvero ben fatto sull'evoluzione del videogiocatore e del relativo modo di giocare..
l'ha scritta un certo Lorenzo Antonelli di un network di cui non faccio il nome..
ve la riporto per intero...
"Se credete quella che oggi confluisce nel/dal videogioco sia autentica e preoccupante violenza, capace di stuprare la fragilissima coscienza collettiva e deprivare i fruitori incapaci della percezione del sociale del reale e di ciò che è giusto o sbagliato, significa che non avete mai frequentato una sala giochi sul finire degli anni ottanta.
In netta contrapposizione con la figura tracciata dal videogioco moderno (un prodotto industriale d'eccellenza, tanto modaiolo quanto innocuo), quella dei vecchi cabinati cotonati appariva oltremodo deviante e assolutamente pericolosa, eppure irresistibilmente ammaliante. In buona sostanza, se a quei tempi un bimbetto di dieci o dodici anni voleva sbronzarsi di videogiochi e giocare ai migliori coin-op in circolazione, bisognava che varcasse la soglia di un antro solitamente troppo fumoso e notoriamente malfamato, a proprio rischio e pericolo. Il gusto del proibito era palpabile e dicotomico, visto che ogni sala giochi conteneva in egual misura tanto cabinati à la page, quanto altrettanti teppisti che vi erano appoggiati con fare spavaldo.
Ci si recava tutti con un coraggio da leoncini e con il cuore in gola, provando sulla pelle il brivido dell'incerto e sperando di essere all'altezza della situazione, o almeno di sopravvivere. In fondo un ragazzino indifeso con le saccocce ricolme di monete da duecento lire era una preda troppo succulenta per il variegato campionario di resident-bulletti, solitamente radunanti in branchi sfrontati e ghignanti. C'erano il tizio col chiodo e il biondino schizzato dai capelli a spazzola, quello che già a tredici anni portava in volto due intimidanti cicatrici e quell'altro reietto che era meglio non guardarlo dritto negli occhi, come certi cani: gente priva di scrupoli, dei veri e propri mostri agli occhi di un bimbetto onesto, educato e ben pettinato.
Come se non bastasse, per proiettarsi al di là di quegli schermi bombati bisognava offrire terga e spalle alla microcriminalità indefessa, quella che giocava poco più in là a stecca, schiamazzava come arpie demoniache e terrorizzava per naturale disposizione. Se però le giornate erano particolarmente fredde e piovose, col bavero del montgomery sollevato e un berretto di lana ben calcato in testa si poteva anche pensare di passare inosservati, o almeno quella era la vana speranza.
Ciononostante e meglio ancora di una sirena dei mari, la sala giochi attirava a sé i proto-videogiocatori dell'intera cittadina in qualsiasi giorno dell'anno, qualunque fossa la condizione climatica del luogo: ghiaccio, neve o tempesta di saette.
La pratica videoludica arcade, così, era primariamente una questione di mera sopravvivenza fisica, e solo poi di pura prestazione ai comandi dell'agognato cabinato. Occorreva innanzitutto "cambiare i gettoni" e tenerseli ben stretti, ché c'era sempre la testa calda pronta a menar le mani contro i quattrocchi più deboli e segaligni (a.k.a. nerd).
Del resto a quei tempi l'essere necessariamente coraggiosi, l'essere videogiocatori per cui non solo il pigiar tasti, ma anche già lo stare fosse un rischio necessariamente cercato, faceva sì che non si poteva affatto rinunciare al malsano altrove di una vecchia e malfamata sala giochi. Oggi, invece, mossi ancor più verso il centro dello spazio domestico, abbiamo preferito il rischio dello spaesamento virtuale, eludendo alla radice il pericolo di rientrare a casa con un occhio nero. Al giorno d'oggi, insomma, è del tutto esclusa qualsiasi possibilità d'incappare in certi matti d'altri tempi, che sapevano perpetuare soprusi e angherie disumane al ritmo delle trascinanti note di Magical Sound Shower.
Rintanati nelle loro più moderne e inviolabili alcove globalizzate (Xbox Live e PlayStation Network), i videogiocatori del terzo millennio hanno preferito una solitudine interconnessa alla fisicità del faccia a faccia, quando ci si forgiava per strada a colpi di "scroccaossa" o "saponette brutali", mica come accade adesso su Facebook e YouTube a suon di clip, like e poke. Oggi, rinserrati a giocare nei luoghi chiusi della sicurezza domestica, i gracili nerd del terzo millennio, femminucce isteriche in confronto ai videogiocatori d'una volta, hanno finalmente trovato nei videogiochi un vero e proprio refugium fisico e virtuale, quando invece prima era tutto il contrario: per amor dei videogiochi si rischiava anche la pelle, per davvero. Il prezzo che essi pagheranno a garanzia della propria incolumità, dunque, sarà una progressiva e sempre più asfissiante paura del reale? Per scoprirlo, è sufficiente scendere giù al centro commerciale e provare sul campo, con vent'anni in più, a parti invertite.
Ha a che fare, tutto questo, con Dirt 3 (Codemasters)? Tanto poco quanto con Drift Out (Visco Games), perchè quantunque cruenta, la rappresentazione ludica contemporanea risulterà sempre un'approssimazione edulcorata del male che s'annidava dentro le sale giochi più malfamate, sul finire degli anni ottanta.
Invece oggi, per sentirsi grandi e forti bastano un nickname, un avatar e un forum dedicato di femminucce isteriche che videogiocano in vitro."
...beati tempi passati...
l'ha scritta un certo Lorenzo Antonelli di un network di cui non faccio il nome..
ve la riporto per intero...
"Se credete quella che oggi confluisce nel/dal videogioco sia autentica e preoccupante violenza, capace di stuprare la fragilissima coscienza collettiva e deprivare i fruitori incapaci della percezione del sociale del reale e di ciò che è giusto o sbagliato, significa che non avete mai frequentato una sala giochi sul finire degli anni ottanta.
In netta contrapposizione con la figura tracciata dal videogioco moderno (un prodotto industriale d'eccellenza, tanto modaiolo quanto innocuo), quella dei vecchi cabinati cotonati appariva oltremodo deviante e assolutamente pericolosa, eppure irresistibilmente ammaliante. In buona sostanza, se a quei tempi un bimbetto di dieci o dodici anni voleva sbronzarsi di videogiochi e giocare ai migliori coin-op in circolazione, bisognava che varcasse la soglia di un antro solitamente troppo fumoso e notoriamente malfamato, a proprio rischio e pericolo. Il gusto del proibito era palpabile e dicotomico, visto che ogni sala giochi conteneva in egual misura tanto cabinati à la page, quanto altrettanti teppisti che vi erano appoggiati con fare spavaldo.
Ci si recava tutti con un coraggio da leoncini e con il cuore in gola, provando sulla pelle il brivido dell'incerto e sperando di essere all'altezza della situazione, o almeno di sopravvivere. In fondo un ragazzino indifeso con le saccocce ricolme di monete da duecento lire era una preda troppo succulenta per il variegato campionario di resident-bulletti, solitamente radunanti in branchi sfrontati e ghignanti. C'erano il tizio col chiodo e il biondino schizzato dai capelli a spazzola, quello che già a tredici anni portava in volto due intimidanti cicatrici e quell'altro reietto che era meglio non guardarlo dritto negli occhi, come certi cani: gente priva di scrupoli, dei veri e propri mostri agli occhi di un bimbetto onesto, educato e ben pettinato.
Come se non bastasse, per proiettarsi al di là di quegli schermi bombati bisognava offrire terga e spalle alla microcriminalità indefessa, quella che giocava poco più in là a stecca, schiamazzava come arpie demoniache e terrorizzava per naturale disposizione. Se però le giornate erano particolarmente fredde e piovose, col bavero del montgomery sollevato e un berretto di lana ben calcato in testa si poteva anche pensare di passare inosservati, o almeno quella era la vana speranza.
Ciononostante e meglio ancora di una sirena dei mari, la sala giochi attirava a sé i proto-videogiocatori dell'intera cittadina in qualsiasi giorno dell'anno, qualunque fossa la condizione climatica del luogo: ghiaccio, neve o tempesta di saette.
La pratica videoludica arcade, così, era primariamente una questione di mera sopravvivenza fisica, e solo poi di pura prestazione ai comandi dell'agognato cabinato. Occorreva innanzitutto "cambiare i gettoni" e tenerseli ben stretti, ché c'era sempre la testa calda pronta a menar le mani contro i quattrocchi più deboli e segaligni (a.k.a. nerd).
Del resto a quei tempi l'essere necessariamente coraggiosi, l'essere videogiocatori per cui non solo il pigiar tasti, ma anche già lo stare fosse un rischio necessariamente cercato, faceva sì che non si poteva affatto rinunciare al malsano altrove di una vecchia e malfamata sala giochi. Oggi, invece, mossi ancor più verso il centro dello spazio domestico, abbiamo preferito il rischio dello spaesamento virtuale, eludendo alla radice il pericolo di rientrare a casa con un occhio nero. Al giorno d'oggi, insomma, è del tutto esclusa qualsiasi possibilità d'incappare in certi matti d'altri tempi, che sapevano perpetuare soprusi e angherie disumane al ritmo delle trascinanti note di Magical Sound Shower.
Rintanati nelle loro più moderne e inviolabili alcove globalizzate (Xbox Live e PlayStation Network), i videogiocatori del terzo millennio hanno preferito una solitudine interconnessa alla fisicità del faccia a faccia, quando ci si forgiava per strada a colpi di "scroccaossa" o "saponette brutali", mica come accade adesso su Facebook e YouTube a suon di clip, like e poke. Oggi, rinserrati a giocare nei luoghi chiusi della sicurezza domestica, i gracili nerd del terzo millennio, femminucce isteriche in confronto ai videogiocatori d'una volta, hanno finalmente trovato nei videogiochi un vero e proprio refugium fisico e virtuale, quando invece prima era tutto il contrario: per amor dei videogiochi si rischiava anche la pelle, per davvero. Il prezzo che essi pagheranno a garanzia della propria incolumità, dunque, sarà una progressiva e sempre più asfissiante paura del reale? Per scoprirlo, è sufficiente scendere giù al centro commerciale e provare sul campo, con vent'anni in più, a parti invertite.
Ha a che fare, tutto questo, con Dirt 3 (Codemasters)? Tanto poco quanto con Drift Out (Visco Games), perchè quantunque cruenta, la rappresentazione ludica contemporanea risulterà sempre un'approssimazione edulcorata del male che s'annidava dentro le sale giochi più malfamate, sul finire degli anni ottanta.
Invece oggi, per sentirsi grandi e forti bastano un nickname, un avatar e un forum dedicato di femminucce isteriche che videogiocano in vitro."
...beati tempi passati...