Storia ed evoluzione dei videogiochi

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Storia ed evoluzione dei videogiochi

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Tesi sui Videogames videogiochi

I testi seguenti sono di proprietà dei rispettivi autori

Fabrizio Tropeano

Si fa presto a dire… Game Over
Idee, percorsi e possibili sviluppi per cancellare i pregiudizi culturali e d'uso intorno al videogaming dopo 50 anni di storia


PREFAZIONE

INTRATTENIMENTO, NIENT’ALTRO CHE INTRATTENIMENTO…

Di fronte alla richiesta di un mio lettore di perorare la causa dei videogiochi in ambito accademico, non ho potuto esimermi dal dare il mio contributo in proposito.
Quello dei videogame è un discorso interessante, perché in esso credo sia possibile vedere il percorso di altre forme espressive del secolo appena passato, prime fra tutte il cinema e la musica rock.
Che l’uomo sia sempre stato spaventato dalle novità ma che al tempo stesso le abbia cercate, credo sia innegabile. Ad esempio, con la scoperta delle prime locomotive, numerose furono le persone convinte che il viaggiare a una velocità superiore a quella di un cavallo avrebbe impedito una corretta respirazione e, quindi, causato la morte per asfissia.
È curioso notare come proprio un mezzo di trasporto così contestato all’epoca sia stato oggetto dei primi filmati creati nel 1895 a Lione dai fratelli Lumière, che volevano mostrare le potenzialità della loro invenzione.
Eravamo agli albori del cinema ma questo momento era vissuto dai suoi stessi creatori non tanto come possibile forma d’arte, bensì come un semplice mezzo d’intrattenimento alternativo a quelli già esistenti. Arriviamo quindi, e qui mi riallaccio a quanto scritto in precedenza, all’avvento della musica rock: anche in tal caso le accuse rivolte a coloro che si esibivano in questa forma di espressione erano tra le più pittoresche che si siano mai potute sentire nella seconda metà del ‘900, superate forse da quelle rivolte al mondo dei videogiochi e ai suoi membri.
Credo sia inutile commentare le accuse di satanismo rivolte ai Rolling Stones, quelle di devianza affibbiate ai Beatles, così com’è superfluo notare che ormai i treni sono un mezzo di trasporto addirittura superato in velocità e che questi costituiscono tutto fuorché la principale musa ispiratrice per la cinematografia contemporanea.
I videogiochi non sono da meno e, adesso che sono diventati un fenomeno di massa, passato il periodo sabbatico dell’accettazione da parte dei garanti dell’informazione, possono cominciare a respirare dalle accuse, peraltro non ancora del tutto sopite, gettate loro addosso da quei tanti che hanno visto in questa forma di intrattenimento una panacea alla spiegazione dei mali che affliggono la società odierna.
Opinione di chi scrive è che al momento i videogiochi non siano altro che un intrattenimento elettronico che rispecchia l’ormai raffinata visione del divertimento della ricca civiltà occidentale.
Giocattoli interattivi dal diverso spessore a seconda della fascia cui essi sono rivolti, non meritano certo le invettive di cui sono stati fatti oggetto recentemente. Al pari della danza in discoteca, della lettura di un libro, della visione di un film o di una partita a pallone, essi non sono che una forma di svago la cui intensità di fruizione spetta alla coscienza di chi se ne serve.
Le accuse di fomentare l’alienazione dei giovani d’oggi sono infondate nella stessa misura in cui si considera che altre “forme d’intrattenimento” possono portare alle medesime conseguenze: non si riescono altrimenti a spiegare gli atteggiamenti di coloro che vivono per la serata in discoteca, la partita allo stadio o, ancora, di chi passa i pomeriggi e le serate davanti ad abulici format televisivi.
In una società che gioca allo scaricabarile con l’educazione, con i genitori che l’affidano alle scuole e queste ultime che la respingono ai mittenti, risulta evidente l’importanza che riveste la formazione caratteriale e culturale che si impartisce ai propri figli. Una volta che questi hanno gli strumenti corretti per analizzare la realtà che li circonda, vivere la propria vita in modo equilibrato e dare la giusta misura alle cose, ecco che i rischi paventati dai detrattori del mondo dei videogiochi cessano di esistere.
I casi da notiziario di bambini caduti in preda alle crisi epilettiche (quando non già predisposti ad esse) o, peggio, collassati di fronte ai monitor dopo sedute interminabili, credo siano imputabili più all’incuria di chi li ha in responsabilità che non al media prescelto dalle “vittime”.
Alla stessa stregua, coloro che accusano i videogame di plagiare le menti dei più giovani dovrebbero puntare il loro indice accusatore più verso l’operato delle famiglie che non, ancora una volta, verso una mera forma d’intrattenimento.
Se una critica si può muovere ai videogiochi del giorno d’oggi è quella di non riuscire a staccarsi da semplice forma d’intrattenimento ed evolversi piuttosto in una forma d’arte, occasione questa che la popolarità e l’accettazione da parte delle masse sta dando loro.
La scelta delle produzioni è ancora basata unicamente su considerazioni di botteghino, in virtù anche degli alti costi di produzione dei videogiochi del giorno d’oggi.
Purtroppo tra l’altro, forse a causa dell’età media cui l’intrattenimento elettronico si rivolge, a differenza di quanto accade nell’industria del cinema le produzioni “indipendenti” hanno scarsissimo successo, il che provoca un notevole appiattimento verso il basso delle realizzazioni videoludiche.
I tempi comunque stanno cambiando, e mentre una volta chi passava il proprio tempi coi videogiochi era considerato un disadattato e comunque una persona “out”, ormai per quelle che sono le tendenze attuali si è “out” se non sia ha a casa una PlayStation 2, agli occhi dei suoi promotori una macchina da intrattenimento costosa, d’immagine e rivolta a quella fascia d’utenza non certo adolescente che insieme ai videogiochi c’è cresciuta. Passerà del tempo e alla fine ciò che una volta destava scalpore diventerà consuetudine, e guardando alle accuse mosse ai videogame ci si riderà sopra, così come lo si fa ora pensando a quanto si è detto a suo tempo di locomotive, cinema e musica rock.

Stefano Silvestri*


*Caporedattore di The Games Machine
Da 10 anni, la rivista di videogiochi per PC più venduta in Italia

PERCHE’ SCRIVERE DI VIDEOGIOCHI?

E’ da qualche anno che in termini di fatturato, il mercato dell’entertainment elettronico ha superato per dimensioni quello cinematografico e musicale.
L’offerta si è variegata, proponendo titoli sempre più eterogenei e complessi con ingenti investimenti da parte delle software house che a volte superano le produzioni cinematografiche.
Gli “eroi digitali” protagonisti dei titoli di maggior richiamo hanno una fama pari (se non superiore, a volte) ai cantanti pop e ai divi cinematografici.
L’uscita di nuove console, macchine dedicate esclusivamente al videogiocare, hanno completamente disatteso (in positivo) le tipiche curve per descrivere il ciclo di vita di un prodotto, ottenendo nel giro di poche ore l’esaurimento delle scorte disponibili.
Il gioco on line è una forma di intrattenimento capace già di coinvolgere milioni di persone al mondo e con possibilità di rapporti sociali molto più ampie delle chat.
E se anche Bill Gates non si è accontentato di creare all’interno di Microsoft un comparto dedicato alla produzione di videogames per PC ma è voluto entrare direttamente anche nel mercato delle console con l’X-Box, ciò potrebbe significare che le possibilità di crescita sono ancora ampie.
Ma a fronte di questi dati economici, il “videogiocare” non ha ancora acquisito tanti degli elementi che un medium dalle caratteristiche così uniche meriterebbe di avere.
Tranne rarissime eccezioni, quotidiani, periodici e telegiornali e media non specialistici in genere, dedicano percentuali irrisorie del loro tempo e spazio ai videogames se paragonato a quello dato a cinema, libri e musica, per non parlare dei talk show in cui l’unico motivo per tirare in ballo il divertimento elettronico è riguardo le possibili influenze negative dei titoli a più alto contenuto violento sui giocatori più giovani.
Da un punto di visto accademico, esistono pochi casi al mondo in cui il “videoludus” sia riuscito ad entrare nelle scuole e nelle università in maniera stabile e le pubblicazioni di testi riguardo l’argomento (sotto un punto di vista sociale o culturale) sono ugualmente non frequenti (in Italia non esistono più di 6/7 titoli al riguardo compresi quelli tradotti da altre lingue).
A differenza del cinema e della musica, non c’è in questo mercato un’alternativa stabile al “mainstream” (i prodotti di massa, solitamente ad elevato budget) in grado di offrire una diversificazione maggiore dei prodotti sia sotto il profilo dei contenuti che delle forme.
Dopo quasi 50 anni di storia del videogaming, avere più di 30 anni e dichiararsi videogiocatori nella maggior parte dei casi significa essere considerati “bambinoni” troppo cresciuti o comunque al di fuori della cosiddetta “normalità” e immaginarsi che il videogioco sia argomento da salotto è oggi per i “gamers” ancora solo una splendida utopia.
Quanti, se non una piccola nicchia di appassionati, conoscono i nomi di sceneggiatori o programmatori anche dei titoli più famosi?
E le dissertazioni interminabili di vari generi di intellettuali che si “sprecano” per il cinema, per la musica o l’arte figurativa?
Mai sentiti per videogiochi anche con una splendida trama, una più che rispettabile introspezione psicologica dei personaggi e dall’estetica elegante?
Quello che proveremo a dimostrare nelle pagine seguenti, dopo una breve storia dell’evoluzione dei videogiochi, è che i motivi di questo “riconoscimento” ancora parziale non sono attribuibili alle caratteristiche del medium in sé ma alla sinergia di pregiudizi culturali, sociali ed ideologici radicati nei non videogiocatori e dalle caratteristiche predominanti di produzione in questi primi 50 anni di videogaming: i due fattori hanno generato il tipico meccanismo del “cane che si morde la coda” ma illustreremo nell’ultima parte di questo testo come si possano già citare esempi di prodotti in grado di aprire un varco verso una nuova era del videogiocare, capace di trovare usi, forme, utenti e contenuti complementari a quelli esistenti.
Opere capaci di mostrare la possibile trasformazione dell’entertainment elettronico nello strumento principe di narrazione audiovisiva.


NOTA INIZIALE
ETIMOLOGIA DI “VIDEOGIOCO”


Dopo interminabili discussioni con colleghi di studio, intellettuali, professori e semplici giocatori appassionati sull’importanza di definire cosa sia il videogioco, mi è sembrato opportuno aggiungere questa breve nota iniziale sull’etimologia di questo neologismo.
Sia chiaro: la questione rimane molto aperta ed anche le opinioni espresse in alcuni dei testi presenti nella bibliografia sono estremamente discordanti se non opposte.
Il motivo di questa difficoltà nasce dal periodo di forte convergenza digitale e non risulta affatto semplice trovare discriminanti stabili per suddividere in maniera radicale sia i nuovi che i vecchi media traghettati sulle piattaforme elettroniche.
Ho deciso di fornire questo punto di partenza per un’operazione di chiarezza semantica ma proprio una parte di questo testo sarà incentrata riguardo il possibile superamento delle concezioni attuali e di come, processo già in atto, la convergenza non sarà solo tecnica ma anche nel contenuto e nella interazione fra macchina e uomo.
Reputo comunque che Matteo Bittanti (M. Bittanti, “L’Innovazione Tecnoludica”, Jackson Libri 1999) presenti la migliore delle definizioni: si parla di “…una doppia natura: da una parte è gioco, dunque è attività, prassi. Dall’altra è video, per tanto rimanda ad un vedere, ad un’estetica…. Definiremo quindi il videogioco come dispositivo elettronico che consente a uno o più giocatori di simulare vari giochi sullo schermo di un televisore o di un monitor al quale viene collegato.
Il videogioco è un new medium a finalità essenzialmente ricreativa”.
Definizione simile poi a quella che troviamo nel vocabolario Zingarelli ovvero: “Apparecchio elettronico che permette a uno o più giocatori di simulare, mediante vari tipi di comandi, sullo schermo di un televisore ordinario a cui viene collegato o su quello di un monitor che ne fa parte integrante, vari giochi esistenti o ideati appositamente”.
Ci permettiamo di aggiungere alla definizione citata il fatto che per gioco possiamo considerare qualsiasi attività ed azione reale od immaginaria riproducibile su schermo (il gradimento dell’utente deciderà esclusivamente il successo dell’opera e non la sua natura) e che la partecipazione umana (in qualsiasi sua forma) debba essere indispensabile per ciò che viene presentato.
…E la discussione può continuare.



I PASSI FONDAMENTALI DELL’EVOLUZIONE:

BREVE STORIA DEI VIDEO GAMES


1958 – 1984: LA “PREISTORIA”
Nella ancora non precisa1 storia videoludica, possiamo considerare il ricercatore fisico William A. Higinbotam come il primo vero creatore di un videogioco. Era il 1958, quando all’interno del Brookhaven National Laboratory negli Stati Uniti, si cercano nuove forme per coinvolgere maggiormente i visitatori del centro scientifico, aperto al pubblico durante alcuni giorni della settimana.
Nasce così un tentativo di simulazione di tennis (due linee su schermo che si passavano un quadratino luminoso) che Higinbotam chiamerà “Tennis for Two” e diverrà la vera attrazione del laboratorio Brookhaven per molto tempo.
Da Tennis for Two passeranno 4 anni per il secondo titolo videoludico: Space War è una sorta di simulazione di combattimento spaziale che rispettava in maniera adeguata le leggi della gravità nello spazio e realizzato da Stephen Russell, studente di ingegneria al Massachussets Institute of Technology di Boston.
Tennis for Two e Space War non sono pensati per arrivare al grande pubblico anche perché in quel tempo giocare con questi due titoli significava avere degli elaboratori grandi quanto un’ autovettura e dal costo di circa 150.000 dollari.
Le due invenzioni, anche se per motivi diversi, non saranno neppure brevettate: Higinbotam non immaginò minimamente che la sua invenzione
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1: Ci riferiamo alle varie divergenze che abbiamo trovato nella ricostruzione delle origini dei videogames. Quella che noi presentiamo cerca di unire gli elementi più comuni riscontrati nella nostra bibliografia.
avrebbe avuto degli effetti così importanti mentre Russell condivideva la filosofia degli hacker2.
Dopo il fallimento del progetto di Ralph H. Baer, il primo a brevettare nel 1968 una macchina da gioco destinata ad essere fruibile direttamente dalla televisione che arriverà solo nel 1972 sul mercato, è Nolan K. Bushnell con la realizzazione di prodotti destinati a locali pubblici a trasformare il videogaming in un fenomeno di massa. Prima Computer Space (una variante, per non dire imitazione di Space War) nel 1971 e soprattutto l’anno successivo Pong (anche in questo caso, non così lontano da Tennis For Two) entrano nel novero dei divertimenti preferiti prima negli Stati Uniti e poi nel resto del mondo. Bushnell, creato il marchio Atari3, deciderà di “invadere” con i suoi videogiochi anche la sfera privata con dei sistemi casalinghi e di cui sarà leader incontrastato per almeno 10 anni.
Saranno in molti, con alterni risultati, ad entrare nel mercato dei videogiochi e che insieme ad Atari, proporranno nuove forme di intrattenimento videoludico4.
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2: Matteo Bittanti (M. Bittanti, L'innovazione Tecnoludica, Jackson Libri 1999) definisce l’hacker come “uno smanettone del computer e un fanatico della tecnologia che vede nell’informatica l’unica via possibile per la liberazione dall’oppressione politica ed ideologica. Legati alla cultura dello scambio, della condivisione delle conoscenze e delle competenze, gli hackers si rapportano al concetto di diritto d’autore con una certa elasticità”.
3: Per capire l’importanza nella storia dei videogiochi dell’Atari (scomparsa ufficialmente come sigla dal mercato da almeno 5 anni), citiamo l’indiscrezione secondo cui la software house francese Infogrames, azienda importante nella produzione odierna e il cui fatturato ogni anno cresce in maniera considerevole, sta prendendo in seria considerazione l’ipotesi di cambiare nome proprio in Atari (di cui ha acquisito i diritti del marchio durante la prima metà del 2001) perché soprattutto nel mercato americano susciterebbe ancora in molti utenti un forte richiamo.
4 E’ da sottolineare come nel 1979 quattro ex programmatori dell’Atari fondino la Activision, prima azienda a produrre esclusivamente software per macchine da gioco.
Le prime produzioni saranno proprio per le macchine Atari che risponderà con una serie di azioni legali, molto frequenti nel settore in quel periodo.
Non solo macchine dedicate: il videogioco diverrà una possibile applicazione di Home e Personal Computer che dalla seconda metà degli anni ’70 iniziano la loro lenta ma inesorabile diffusione.
Ma è soprattutto l’apporto di alcuni prodotti giapponesi alla fine del decennio ad essere l’artefice di importanti innovazioni nel settore.
Space Invaders (Taito - 1979) viene considerato il capostipite di una nuova generazioni di prodotti grazie alla prima caratterizzazione dei protagonisti del gioco5 e al livello di coinvolgimento in grado di offrire all’utente.
Pac-Man (Namco - 1980) è la prima vera star6 dei videogiochi: oltre a riscuotere un consenso enorme (anche da parte, per la prima volta, del pubblico femminile), otterrà copertine di giornali e magazine, dischi ai vertici per settimane delle classifiche e cartoni animati dedicati alla produzione nipponica.
Sono di questi anni i primi interventi di psicologi, intellettuali e sociologi sui videogames ma il dibattito si limita ad una discussione sui possibili effetti negativi che l’intrattenimento elettronico potrebbe avere sulle nuove generazioni.

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5: Gli alieni “invasori” della terra e che il giocatore doveva eliminare, presentavano a seconda della fila in cui erano schierati, delle forme piuttosto diverse. Per il 1979, quel tipo di tecnica grafica era impressionante.
6: L’origine di quel cerchio giallo senza uno spicchio inseguito da alcuni fantasmi in un labirinto ha una storia alquanto bizzarra: il suo autore, Iwatani, prende ispirazione dalla visione di una pizza a cui già aveva mangiato uno spicchio! Solo le limitazioni tecniche stilizzeranno il personaggio non in una pizza ma in un indefinito essere giallo…. Se aggiungiamo inoltre che l’idea di chiamare i due “operai” protagonisti dei più famosi giochi Nintendo, Mario e Luigi, nasce da alcuni dipendenti della Nintendo America che solitamente cenavano in una pizzeria italiana ed i cui proprietari si chiamavano Mario e Luigi (ed avevano una spiccata somiglianza ai protagonisti dei giochi) possiamo tranquillamente affermare di come la pizza sia stato un elemento fondamentale per il successo e lo sviluppo mondiale dei videogames.
Da Pac Man in poi, il mercato continuerà a crescere in modo esponenziale e sarà in grado di offrire ulteriori forme di intrattenimento con nuove tecniche (grafica vettoriale, laser game ed altri esperimenti meno riusciti) e modi di interazione tra macchina e uomo7.
L’eccesso della crescita ed il tentativo di alcuni nuovi arrivati nel mercato che proporanno titoli scadenti ma ad un prezzo più basso saranno il motivo nel 1984 di una pesante ma temporanea crisi del settore.



7: Ci stiamo riferendo, oltre ai tanti nuovi titoli usciti sempre più diversificati, anche ai giochi di ruolo elettronici, alle simulazioni gestionali e le avventure testuali.

1984-1993: L’ETA’ CLASSICA

Come già è stato fatto da altri, abbiamo deciso di definire questi 9 anni come “l’età classica” del videogioco perché è opinione piuttosto diffusa fra tanti players di tutto il mondo che in questo decennio siano stati prodotti i migliori titoli della storia: secondo i fautori di questa teoria, si era nel momento di maggior equilibrio tra le possibilità tecnico/grafiche (ancora non eccessive) e la strutturazione del gioco in sé.
Torneremo su questo importante concetto successivamente.
Superato il temporaneo sbandamento dell’84, la “fabbrica dei giochi”, per l’ambito casalingo si sviluppa in due direzioni: se in Giappone e nel Nord-America saranno le macchine esclusivamente dedicate al videogaming, le console (in particolare quelle prodotte da Sega e Nintendo) a prendere il sopravvento e diventare in modo stabile i “giocattoli” più venduti, in Europa si preferiranno gli home computer dei produttori Commodore e Spectrum come strumenti per videogiocare8.
E’ di questi anni l’importante passaggio dagli 8 ai 16 bit per i microprocessori principali di ogni sistema: ciò consente di iniziare ad usare un numero molto più elevato di colori, risoluzioni, oggetti sullo schermo impensabile fino a pochi anni prima ed anche dal punto di vista sonoro, ci avviciniamo ad una qualità da musica “reale”.
E’ veramente difficile scegliere per questo periodo i titoli che


8: La diffusione delle console tarderà di qualche anno nella zona europea ma in seguito comincerà ad avere larga diffusione. In Giappone avrà un discreto successo come Home Computer l’MSX, uno standard aperto a vari produttori come oggi Windows. Anche negli USA le macchine Commodore ebbero una certa diffusione come non mancarono le applicazioni ludiche per i primi modelli degli Apple di Steve Jobs che in precedenza aveva lavorato per Atari.
maggiormente hanno avuto una parte importante nell’evoluzione del
videogiocare casalingo e pubblico.
La scelta è caduta su 4 opere piuttosto diverse.
In Dragon’s Lair (Readysoft, Canada – 1984) si trovava sullo schermo un ottimo cartone animato realizzato dall’ex disegnatore Disney Don Bluth9: il giocatore non doveva far altro che eseguire dei movimenti elementari (destra, alto, sinistra, pulsante, basso e via dicendo…) al momento giusto per far proseguire il protagonista del gioco10 fino alla fine della storia.
Anche con un modo di gioco così semplice, Dragon’s Lair affascina: ci si trovava di fronte al primo tentativo di rendere interattivo qualcosa che fino a quel momento si era potuto vedere esclusivamente nelle sale cinematografiche. Il successo fu immediato e mondiale ma la fragilità della tecnologia laser11 (su cui era basato il gioco) e la noia dei giocatori che va a sostituirsi all’eccitazione iniziale, porterà a poche altre produzioni del genere12.
Rimane però l’importanza del prodotto della Readysoft che aprirà degli spiragli di evoluzione tecnico/grafica importanti soprattutto per le produzioni degli anni più recenti.
Tetris, progettato dal ricercatore e matematico russo Alexi Pajitnov e
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9: Autore poi di altri videogames e di lungometraggi che hanno insediato da vicino la leadership Disney nei film di animazione.
10: In un medioevo fantastico, il cavaliere Dirk deve salvare la principessa Daphne, catturata dalle “solite” creature infernali e prigioniera in un castello pieno di mille insidie.
11: Il costo di affitto delle macchine per i gestori delle sala giochi era molto più alto delle altre e la facilità con cui andava fuori uso (e quindi non generatrice di profitto) spinse molti esercenti a rimandare indietro in tempi brevi molti degli esemplari di Dragon’s Lair.
12: Sempre ad opera di Don Bluth e della Readysoft, citiamo Space Ace, la trasposizione in un futuro fantascientifico di Dragon’s Lair.
programmato da uno studente informatico moscovita nel 1987, è un gioco molto semplice: si tratta di incastonare in maniera adeguata delle forme geometriche che arrivano dall’alto (ad una velocità sempre più elevata) in linee orizzontali12.
L’intuizione di Pajitnov13 è geniale: sarebbe molto difficile ricordare tutte le versioni di Tetris uscite nelle sala giochi di tutto il mondo. Impresa ancora più ardua quella di elencare le successive trasposizioni su computer, console portatili e da casa14.
Il successo è planetario e crea anche una nuova fascia di giocatori: saranno milioni le copie di Tetris installate sui PC negli uffici di tutto il mondo15 e che appassioneranno dei giocatori dall’età più elevata del solito ma meno esperti in fatto di videogames.
Street Fighter II della software house giapponese Capcom nel 1990 rivoluziona il genere, già molto in voga da alcuni anni, dei combattimenti con tecniche di arti marziali e semplici calci, pugni e mosse più o meno corrette. Oltre ad una grafica sconvolgente per l’inizio degli anni ’90, ad un coinvolgimento di gioco molto elevato, Street Fighter II dava la possibilità
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12: Ci scusiamo per la non esauriente spiegazione ma descrivere Tetris a parole non è affatto semplice!
13: Per la cronaca, Pajitnov proporrà un altro paio di titoli sulla falsariga di Tetris ma saranno accolti molto freddamente dai giocatori.
14: Ironicamente J.C. Herz (J.C. Herz, “Joystick Nation”, 1997 Little Brown and Company) scrive: “Probabilmente il videogioco più simile alla droga mai inventato: con un livello di pratica sufficiente, riesce ad indurre stati simili alla trance. Non sono molte le cose certe nell’industria dei videogiochi, ma un articolo di fede è che Tetris ci sarà sempre, disponibile su ogni piattaforma fino al Giorno del giudizio”.
15: Ricordiamo come fosse anche possibile, premendo il “Boss Button” mettere immediatamente in pausa il gioco e passare ad una finta pagina di un foglio elettronico per prevenire le possibili visite dei propri capiufficio.
all’utente di scegliere 10 combattenti (sia maschili che femminili) originari di varie parti del mondo, ognuno con delle caratteristiche proprie di
combattimento ma anche con delle motivazioni diverse per cui combattere: la vendetta, il patriottismo (sia americano che sovietico), l’amore, la famiglia, la religione, l’auto realizzazione…
Il prodotto della Capcom, oltre ad essere uno dei più grandi successi nella storia dei videogames16, fa un grande passo in avanti nella caratterizzazione dei personaggi17: si potrebbe definire un’ autentica rivoluzione nel proporre i protagonisti di un gioco elettronico d’azione18.
L’ultimo rappresentante del decennio non è un gioco singolo ma l’insieme dei titoli firmati dalla nipponica Nintendo e che hanno per protagonista il simpatico personaggio di origine italiana noto al mondo con il solo nome di battesimo: Mario.
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16: Oltre alla Capcom stessa che produrrà un numero incredibile di seguiti del suo best seller con l’aggiunta di nuovi personaggi (anche i nemici del precedente che i giocatori umani non potevano utilizzare) e le battaglie con universi paralleli come quella contro i super eroi dei fumetti Marvel, saranno molti i produttori a gettarsi su questo filone così popolare.
Vanno ricordate in particolare la giapponese SNK che proporrà decine di titoli fortemente ispirati a Street Fighter 2 e la saga Made in Usa chiamata Mortal Kombat: il gioco cercherà di calamitare l’attenzione con una grafica ai primordi del foto realismo e soprattutto con l’uso massiccio di violenza gratuita che farà scatenare una nuova crociata negli Stati Uniti contro i videogames violenti. Il gioco della Midway otterrà un buon successo ma comunque di molto inferiore a Street Fighter 2.
In anni più recenti saranno le giapponesi Namco (la stessa di Pac Man) e Sega a darsi battaglia rispettivamente con i vari episodi di Tekken e Virtua Fighter.
17: Aneddoto di videogiocatore. Ricordo ancora un pomeriggio invernale maceratese di dieci anni fa, qualche partita in sala giochi e sentire un amico esclamare: “Lo devo dire, Guile (un marine americano protagonista del gioco) è il mio ideale di uomo”
18: Riguardo i giochi di ruolo parleremo più avanti.
L’idraulico più famoso del pianeta fa la sua prima apparizione nel lontano 1981 in “Donkey Kong”, uno dei primi “platform game”19 in cui aveva il
cruciale ruolo di salvare la sua dama da un simpatico scimmione20 emulo delle gesta di King Kong.
Il pubblico si innamora immediatamente del personaggio, della sua tuta rossa e delle forme rotondeggianti.
Mario sarà poi protagonista insieme al fratello Luigi21 di altri titoli per varie piattaforme con un successo sempre crescente che toccherà il suo apice22 nel 1990 con Super Mario Bros 3, considerato secondo molte statistiche come il gioco più venduto nella storia con un realizzo di circa 500 milioni di dollari.
Indubbiamente i titoli Nintendo erano incredibilmente piacevoli e divertenti ma per raggiungere questi risultati hanno dovuto dare qualche cosa di più: riuscire a creare un nuovo universo di fantasia con i suoi protagonisti, luoghi, suoni, antagonisti e regole, capace di reggere il paragone (e la sfida) con “l’impero” Disney.
Si sono spinti verso la stessa direzione di Pac Man ma sono andati molto più oltre.
Come l’eroe giallo, Mario riscuote un certo consenso anche nel pubblico femminile; pur se destinato agli utenti molto giovani è un best seller in ogni fascia d’età. Diviene una vera icona pop degli anni ’80 ed il suo successo traina anche gli altri co-protagonisti delle sue avventure23.
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19: Genere basato principalmente sul saltare da una piattaforma all’altra con ostacoli di vario tipo che impediscono il facile proseguimento nel cammino del protagonista.
20: Anche lui diverrà protagonista di molti titoli di successo.
21: Luigi non è altro che il “gemello” di Mario ma con la tuta verde. Proprio lui, il meno famoso dei due fratelli, sarà invece il protagonista del primo titolo di punta della nuova console Nintendo denominata Gamecube ed in cui Mario invece farà solo una fugace apparizione.
22: Ma anche i titoli successivi otterranno sempre vendite clamorose.
23: Oltre al già citato Luigi, ci saranno vari “animaletti”, il parallelo in cattivo di Mario e molti altri nuovi “attori”.
Nintendo farà enormi profitti con le licenze di Mario per il merchandising ma sarà sempre molto attenta nel difendere l’immagine24 della star con
attente valutazioni nel decidere su quali prodotti possa comparire e nelle azioni e movenze che deve compiere in apparizioni pubbliche25.
Non c’è ancora un personaggio nella storia dei videogiochi che si possa solo immaginare26 in grado di bissare i 20 anni di grandi successi che il signor “200 milioni di copie vendute” ha ottenuto.



24: Stupisce per questo il grande flop che ebbe il film dedicato a Mario.
25: Ci riferiamo chiaramente ai costumi che vengono indossati all’interno di centri commerciali per promozionare nuovi prodotti o altro.
26: La Sega, entrata in concorrenza diretta con Nintendo nella guerra delle console a 8 e 16 bit, ha cercato di controbattere con un porcospino blu chiamato Sonic e destinato ad un pubblico più maturo. Anche Sonic riscuoterà grande successo e nel corso degli anni saranno decine i titoli che lo vedranno protagonista ma il confronto, in una ipotetica sfida pugilistica, si concluderebbe alla prima ripresa per K.O. dopo pochi secondi a favore di Mario.

1993-2001: “STORIA CONTEMPORANEA”
E’ opinione comune e diffusa che siano stati due i principali fattori a rivoluzionare gli ultimi anni del videogaming.
Il primo è stato l’uso del Compact Disc come supporto per i dati (chiaramente non solo per i giochi).
Prima del CD, i dischetti utilizzati dai computer e i vari formati di cartucce per le console, potevano contenere un numero molto limitato di informazioni se paragonato a quello dei CD, capace di oltre 650 mega di bytes, cifra di circa 200/300 volte maggiore rispetto ai titoli precedenti spesso scomodamente inseriti in un numero piuttosto elevato di floppy disk.
Il CD si può considerare come uno dei principali strumenti anche della convergenza digitale: musica, videogiochi, film (se pure in maniera minore) potevano essere finalmente fruiti con un unico strumento.
Inserire nei giochi colonne sonore dalla stessa identica qualità dei CD audio diviene un operazione molto semplice come con la tecnica del Full Motion Video, diverrà abitudine inserire veri e propri filmati all’inizio, alle fine o all’interno del gioco stesso ad esempio fra un livello e l’altro.
In questo periodo assistiamo ai primi tentativi di film interattivi27: il problema è che gli utenti non si accontenteranno di trovarsi di fronte a degli aut-aut in stile kirkegaardiano dove semplicemente si indicava all’attore di prendere la strada buia o quella illuminata e come successe per Dragon’s Lair, allo stupore iniziale, subentrò l’indifferenza degli utenti.


27: Oltre che sul PC, gli esperimenti furono fatti sulla console Philips CD-I e 3DO, quest’ultima prodotta da più marche fra cui la Matsushita.
Entrambe miravano a non essere semplici macchine da gioco ma ad entrare nei salotti come uno strumento multimediale per giocare, ascoltare musica, vedere film ed usare altri programmi educativi come enciclopedie e prodotti culturali di vario genere. Forse l’eccesso di coraggio delle due compagnie portò ad un totale insuccesso delle due macchine.
Con il Compact Disc e il parallelo monopolio costituente di Windows che spazzò via dalla competizione il Commodore Amiga (che nel campo dei videogiochi per computer aveva regnato incontrastato per almeno 5 anni) e ridusse le macchine Apple ad un target di nicchia, milioni di giocatori trovarono nelle macchine “targate” da Bill Gates l’unica possibilità per giocare su computer ma è indubbio di come su questa piattaforma nel passato ed oggi si scrivano importanti passi della storia che vi stiamo raccontando.
L’altro evento degli anni ’90 è l’arrivo tra i produttori di console della Sony.
Il colosso giapponese aveva una minima conoscenza nel settore dei videogiochi28 e la stragrande maggioranza degli analisti di mercato non gli tributava alcuna possibilità di scalzare dai vertici Nintendo e Sega.
Mai nessuna previsione fu così sbagliata.
La Playstation non solo sarà la console più venduta al mondo29 ma diverrà un vero fenomeno di costume: per la prima volta sarà “trend” essere videogiocatori!
La strategia di Sony si basò sull’alzare l’età del target di riferimento del suo prodotto30 e conseguentemente la maggior parte dei titoli rispecchiavano questa scelta con storie, estetiche, contenuti e forme plausibilmente indirizzati ad un target fra i 16 e i 30 anni.


28: Fu tra i vari produttori (e neppure con entusiasmo) dello standard MSX durante gli anni ’80.
29: Solo con il fattore “Pokemon”, Nintendo con l’Ultra 64, riuscirà ad avvicinarsi alle cifre di Sony, mentre Sega dopo il fallimento del Saturn proporrà una nuova macchina chiamata Dreamcast ma anche in questo caso il flop sarà così marcato da indurre Sega ha ad uscire dal mercato hardware e continuare solo a produrre software per sala giochi e per le macchine di quelli che fino a pochi mesi fa, erano i suoi diretti concorrenti.
30: In realtà già Sega si presentò con delle macchine pensate per una fruizione più adulta rispetto a Nintendo ma lo fece in maniera non troppo decisa e marcata.
Tramite la PSX, l’evoluzione del concetto di film interattivo inizia ad essere realmente coinvolgente per il giocatore e grazie anche ad una politica di marketing piuttosto innovativa31, possiamo affermare di come la Sony sia riuscita a rivoluzionare gli usi, le modalità ed il concetto stesso di videogioco. Parlare di tempi così recenti e scegliere quei prodotti che maggiormente hanno avuto un ruolo importante in questa evoluzione non è una scelta così semplice ma abbiamo voluto “azzardare” 4 nomi.
Doom (Id Software – Usa, 1993) è stato il primo gioco32 3D d’azione in cui la prospettiva di gioco era sempre in soggettiva: su schermo non avremmo mai visto il protagonista ma quello che potevano vedere i suoi occhi e che potevamo gestire a nostro piacimento in ogni direzione dello spazio tridimensionale creato.
Doom è stato solo l’inizio di uno dei generi più floridi degli anni ’90 e che ancora oggi non sembra conoscere alcuna sorta di crisi.
Quasi sempre, in questo genere, il nostro scopo è di uccidere ogni forma vivente che incontriamo nel corso dei livelli: lascio a voi immaginare cosa abbia potuto scatenare un realismo mai visto fino a quel momento, la forte stimolazione sensoriale33 e la violenza gratuita del titolo34.
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31: Tutta la campagna pubblicitaria di Sony si basò nel mostrare il meno possibile i giochi sia in TV che nei manifesti, cercando invece di calamitare l’attenzione dei consumatori con “scenette” di vario genere riguardo la potenza della sua macchina o di altro genere. Visto il successo di questa strategia, si sono ripetute le stesse modalità per l’uscita della Playstation 2.
32: Gli stessi programmatori avevano già distribuito in forma gratuita un gioco molto simile a Doom chiamato Wolfenstein 3D.
33: Comunque abbastanza tipica per tante delle nuove produzioni.
34: Una precisazione: non si vuole in questo testo aprire un capitolo sui possibili effetti della violenza dei videogiochi ma abbiamo riportato sempre le polemiche su quest’argomento per evidenziare il fatto che fino a tempi recenti, questo sia stato l’unico motivo per cui la stragrande maggioranza (vicino all’unanimità) di intellettuali, medici, psicologi e sociologi prendeva la parola sui videogiochi, chi per difenderli, chi per attaccarli.
Se Doom nasce su PC, Wipe Out (Psygnosis – Inghilterra 1995) è stata una delle prime “killer application”35 per Playstation.
Il gioco ci porta in un futuro non meglio precisato dove le corse di Formula Uno vengono sostituite da vetture volanti in grado di raggiungere velocità elevatissime.
Wipe Out propone un’estetica scioccante con uso massiccio di colori sgargianti e “buca” lo schermo per la sensazione di velocità.
Ma il titolo è importante anche perché sarà l’inizio36 della collaborazione tra il mondo dei videogames e musicisti già noti al grande pubblico37.
Nel 1996 farà la sua apparizione in contemporanea su PC e Playstation, la donna virtuale più famosa del mondo, Lara Croft, protagonista della serie Tomb Raider (Eidos – Inghilterra 1996) già arrivata al suo 5° episodio.
Oltre ai successi di vendita e alla validità del prodotto38, la signorina Croft diviene un vero oggetto di culto: poche “pin-up” degli anni ’90 possono contare su un numero di fan superiore a quello dell’archeologa virtuale.
I poster dell’eroina di casa Eidos, invadono le stanze di milioni di teenagers ma anche Bono Vox, leader del gruppo degli U2, rimane affascinato dalle forme e dalla personalità decisa della Croft che diverrà il soggetto
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35: Con killer application si intendono quei titoli che per la loro innovazione o fascino riescono a convincere un numero elevato di utenti ad acquisire la piattaforma su cui questi giochi si possono utilizzare.
36: In realtà già alcuni prodotti su Amiga firmati dai Bitmap Brothers contenevano canzoni realizzate da gruppi noti come i Bomb The Bass ma le limitazioni tecniche non permettevano agli artisti di potersi esprimere liberamente o riproporre in maniera completa i brani che avevano già lanciato sul mercato discografico.
37: In Wipe Out sono presenti i Prodigy, Chemical Brothers, Orbital, Future Sound of London e altri dei maggiori rappresentanti della nuova scena musicale techno degli anni ’90.
38: Lara Croft è una novella archeologa in giro per il mondo alla scoperta di incredibili segreti in grado di segnare i destini del mondo. Qualcuno ha trovato molte somiglianze con Indiana Jones, ma Lara usa molto più frequentemente le armi per andare avanti nelle sue esplorazioni.
principale delle immagini trasmesse sui mega schermi durante i concerti della band irlandese.
E’ di quest’anno l’uscita del film dedicato a Tomb Raider: secondo i produttori la parte più complessa della lavorazione si è avuta nel momento di decidere l’attrice che avrebbe dovuto interpretare Lara, scelta poi caduta sulla “mia coetanea” Angelina Jolie.
L’ultimo titolo che conclude la nostra breve, se pur intensa, sintesi, è il capolavoro Konami chiamato Metal Gear Solid (Giappone, 1998).
Forse è la prima volta che per descrivere un prodotto videoludico, non sarebbe il caso di iniziare a parlare della modalità di gioco ma della sua trama39 visto che Metal Gear è forse il miglior rappresentante di una complessità narrativa degna di un lungometraggio cinematografico.
Non sono solo i contenuti ad avvicinarsi al linguaggio filmico ma anche le “riprese”: più telecamere mobili seguono le azioni del personaggio e a seconda del movimento che compie, il regista “virtuale” trova sempre l’angolazione più spettacolare da mostrarci.
Il titolo Konami è il miglior prodotto per concludere la storia e tornare al presente.


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39: Sintetizzando in maniera estrema, si narrano le gesta di un agente segreto mercenario oramai in ritiro con i suoi cani nelle gelide terre d’Alaska che viene richiamato forzatamente dal governo americano per fermare il ricatto atomico di alcuni soldati super specializzati e manipolati geneticamente.
Proseguendo nel gioco, si scoprirà di come dietro la storia che raccontano a Solid Snake (nome del protagonista) ci siano intrighi, complotti, esperimenti genetici che vedono coinvolti governi, multinazionali e lobby segrete in un susseguirsi di colpi di scena sempre più emozionanti.

STORIE PARALLELE:
MACCHINE PORTATILI, GESTIONALI,
AVVENTURE,GIOCHI DI RUOLO E PIRATERIA

Per concludere questo breve sunto sulla storia del divertimento elettronico, sono ancora necessarie alcune righe per scrivere di vicende parallele a quelle descritte fino a questo momento.
Il motivo di lasciare alcuni argomenti a parte, è dettato dagli obiettivi di questo elaborato ma ci sembrava comunque doveroso riportarli per dare un quadro completo del tema.



DIVERTIMENTO PORTATILE
Oltre ai sistemi casalinghi e alle sala giochi pubbliche, nel corso dei decenni si è andato sviluppando anche il divertimento portatile.
Da semplici giochi singoli (in Italia furono rinominati “schiacciapensieri”), si è passati a vere console sempre più potenti tanto che l’ultima produzione Nintendo, il Game Boy Advance, ha delle capacità hardware superiori ai sistemi da casa al top del mercato solo qualche anno fa e con milioni di esemplari già venduti a pochi mesi dall’uscita.
Ancora da decifrare la risposta del pubblico alla sinergia fra videogioco da casa e portatile che è stata sperimentata dalle console di ultima generazione di Sega e Sony.


STRATEGICO-GESTIONALI, SIMULAZIONI,
AVVENTURE E GIOCHI DI RUOLO

I quattro generi appena elencati rappresentano i principali modi di produrre
videogiochi non di azione38.
Gli strategico-gestionali sono programmi in cui l’utente si fa carico di responsabilità di varia natura come amministrare e controllare una città, un palazzo, l’evoluzione dell’uomo o addirittura l’intero universo attraverso le decisioni su un numero possibile di variabili. Sim City, Civilization e Popolous sono fra i principali successi di questa tipologia che su PC gode di un nutrito seguito.
Le simulazioni hanno nel realismo il proprio fine: sono infatti frequenti i casi di interscambio, ad esempio, tra il software in dotazione alle aeronautiche di ogni parte del mondo per addestrare i propri piloti ed i simulatori di volo destinati al mercato. Gli utenti dei simulatori frequentemente sono videogiocatori esclusivamente di questo genere.
Chi si è imbattuto nelle prime avventure elettroniche si trovava di fronte allo schermo un testo che ad un certo punto della storia narrata chiedeva di fare delle scelte39 che avrebbero influito sul proseguire della vicenda.
Al testo si è poi sostituita la grafica e possiamo considerare anche i primi film interattivi come della avventure40.
Con il passare degli anni sempre più giochi “arcade”41 hanno iniziato ad acquisire elementi di questo genere al punto tale che oggi proprio i più
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38: In cui, forse un po’ brutalmente, inseriamo i platform (Mario & Co.), i giochi di combattimento (Street Fighter ed i suoi “figli”) , gli sportivi (pensate a qualsiasi sport, esisterà sicuramente un videogame), i rompicapo (Tetris e migliaia di altri titoli), gli shooters di vario genere (Doom e soci, ma anche Space Invaders ed “eredi”…) ed i vari ibridi dei generi appena citati.
39: La poca potenza delle macchine di allora, più di venti anni fa, comportava situazioni abbastanza paradossali in cui se non si fosse usata la parola esatta che il programma richiedeva, l’utente non aveva possibilità di andare avanti nel gioco.
40: Se pur banali e poco interattive.
41: Termine sinonimo di azione per i videogiochi.
grandi successi (Tomb Raider, Alone in The Dark, Shadow Man, Resident Evil e tantissimi altri) sono chiamati appunto arcade-adventure 3D.
Riguardo i giochi di ruolo, devo confessare la mia non approfondita conoscenza in merito, quindi preferisco citare J.C. Herz (J.C. Herz “Joystick Nation”, 1997 Little Brown and Company) che dà la seguente definizione: “I giochi di ruolo si svolgono come lunghe e complesse narrazioni epiche delle gesta di una banda di personaggi che viaggiano, saccheggiano e combattono con azione di squadra. Hanno le loro radici nei giochi da tavolo degli anni ’70… si basano sulla statistica, la probabilità e le mappe…”.
I Gdr, quasi sempre ambientati in mondi epico “fantasy” o futuristici , per loro natura sono molto longevi42 e costringono i produttori a creare delle trame piuttosto complesse ed articolate che hanno aiutato tutta la produzione di videogiochi a crescere in contenuti.
L’altro aspetto di interesse di questo genere è il gioco on line che permette agli appassionati di condividere le stesse avventure e da lì è frequente un uso simile alle chat line per socializzare virtualmente con persone di ogni angolo del mondo.
La saga di Ultima dell’americana Origin e quella nipponica di Final Fantasy43 della Square Soft, sono due dei più grandi successi in assoluto nella storia dei videogiochi.

PIRATERIA
Tema scottante la pirateria che ha riempito molte pagine dei magazine dedicati ai videogames.
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42: Per concludere alcuni di questi titoli sono necessarie a volte fino a 60 ore di gioco.
43: Anche da Final Fantasy è nato un film completamente in computer grafica che ha diviso critica e pubblico.
La facilità con cui è stato possibile copiare44 illegalmente il software ed un certo lassismo da parte delle autorità internazionali almeno fino a quando il mercato non ha acquisito una certa importanza, secondo molti è stato un fattore influente sulla direzione dello sviluppo dei videogames come ad esempio la preferenza delle software house di programmare sui sistemi a cartucce molto più difficili da copiare rispetto ad un floppy disk o ad un cd.
D’altra parte, ci sono strenui sostenitori di una visione opposta: solo con software, se pur illegale, a basso prezzo il videogaming è potuto diventare un fenomeno di massa.
Ciro Ascione (C.Ascione, “Videogames – Elogio del tempo sprecato”, Minimum Fax 1999) afferma riguardo la Playstation Sony: “Schiere di ragazzini accaniti e sudati (…) che si scambiano CD pirata comprati per quattro soldi. E’ proprio la natura “proletaria” ad aver fatto la fortuna della PSX: software facilmente duplicabile, basso costo della console (…) (riguardo il Nintendo 64) la distribuzione di software su cartucce anziché su CD per bloccare le duplicazioni pirata è stata una scelta perdente, se la PSX è diventata così popolare, è anche per merito della pirateria”.
Come per la violenza, non si vuole dare un giudizio sulla questione pirateria ma anche questo elemento fa parte di un background storico “minimo” che abbiamo voluto raccontarvi per capire meglio, forse, il presente ed il futuro del videogaming.


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44: Ed oggi il modo migliore per procurarsi software illegale è “avventurarsi” nei meandri di Internet dove esistono autentiche banche dati con migliaia di titoli ma anche con il rischio di virus.
DI FRONTE A NOI:
IL VIDEOGAMING DEL PRESENTE
Le coordinate guida dello sviluppo attuale

IL MERCATO E LA PRODUZIONE GLOBALE

Come già anticipato in precedenza, il mercato del divertimento elettronico è cresciuto al punto tale da superare, in termini di fatturato, prima l’industria discografica e poi quella del cinema.
Ma produrre videogames, soprattutto negli ultimi 5 anni, ha significato anche molti altri cambiamenti.
Se nella “preistoria” era sufficiente un singolo programmatore in grado di scrivere il codice del programma ma anche la grafica ed il sonoro del gioco, la potenza a disposizione del nuovo hardware ha si permesso di avere strumenti più flessibili e in grado di dare “mano libera” a realizzatori del concept di gioco e agli artisti audiovisivi, ma contemporaneamente ha alzato in maniera esponenziale i costi di produzione: per un titolo di fascia medio-alta, oggi bisogna costituire un team di decine (a volte centinaia) di persone che lavorano sul prodotto in media per un anno1. Un esempio: la realizzazione della colonna sonora, ha molte caratteristiche simili a quelle di un film oppure, in altri casi, ad una produzione discografica.
Servono quindi ingenti investimenti per un singolo prodotto e per ottenere profitti è chiaro che sarà necessaria una diffusione globale nel mondo2 : ciò implica una distribuzione capillare a livello planetario ed una politica di



1: Ma a volte può succedere di arrivare fino a 5 anni, come ad esempio per Max Payne della 3D Realms, di cui parleremo in seguito.
2: I mercati principali dei videogames sono tre: il nord-americano, il nipponico e l’europeo. Di minore importanza l’australiano e l’asiatico (Giappone escluso).
marketing oculata3 che solo in pochi possono permettersi ed hanno a disposizione.
Per questo, come già successo in altri settori economici, la “globalizzazione” ha portato ad una drastica riduzione delle aziende sul mercato, concentrando la produzione mondiale nelle mani di poche decine di “nomi”.
C’è chi ha deciso di compiere una fusione fra varie aziende come nel caso della Eidos (i produttori di Tomb Raider) in cui sono confluite le maggiori software house britanniche di un tempo.
Chi, forte della sua posizione sul mercato, come la francese Infogrames, ha comprato aziende in crisi o comunque incapaci di far fronte alle caratteristiche del nuovo mercato.
L’altra strada intrapresa negli ultimi anni per far fronte alle nuove esigenze è quello delle collaborazioni e delle partnership in cui ad esempio un gruppo di programmatori decide di continuare il lavoro in maniera autonoma ma trova poi una multinazionale che si occupa della distribuzione, del marketing, della localizzazione4, delle public relation, della parte commerciale in genere.
Le collaborazioni possono anche essere fra “giganti”: la nipponica Square Soft, produttrice della saga best-seller Final Fantasy, ha deciso di
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3: Tra i vari strumenti di marketing usati, è sempre più frequente l’uso di indagini di mercato per scoprire i gusti dei consumatori e realizzare i protagonisti dei nuovi titoli con le caratteristiche estetiche, caratteriali e psicologiche possibilmente vicine alle preferenze maggiormente riscontrate.
Negli ultimi anni le software house decidono di puntare sempre più sui personaggi e giochi già affermati e proporre seguiti con una certa frequenza e regolarità senza rischiare troppo con esperimenti o nuovi soggetti.
4: La traduzione dei dialoghi, dei sottotitoli, del manuale ma a volte anche a delle modifiche dei contenuti del programma stesso per varie motivazioni come l’aggirare il divieto di vendita ad alcune fasce di età: in alcuni paesi, USA in testa, i metri di giudizio degli organi che hanno potere in merito a queste decisioni sono maggiormente restrittivi.
appoggiarsi all’americana Electronic Arts5 per la distribuzione dei suoi prodotti negli Stati Uniti e in Canada con ottimi risultati economici per entrambi.

IL ROSPO DIVENTA PRINCIPE:

HOLLYWOOD CERCA STAR DISPERATAMENTE

Anche il rapporto fra cinema e videogames si è profondamente modificato.
Se fino a alla metà degli anni ’90, era l’entertainment informatico a guardare ai lungometraggi per idee, stili e personaggi6, oggi è soprattutto Hollywood a cercare nuove star tra gli eroi virtuali come la già citata Lara Croft di Tomb Raider, i violentissimi guerrieri di Mortal Kombat7 e Street Fighter II, l’ironico Duke Nukem e molti altri che presto arriveranno sul grande schermo8.
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5: Secondo alcune indagini di mercato, la Electronic Arts si può considerare come la più grande software house del pianeta. Oltre alla collaborazione con la Square Soft, vanta tra gli altri nel suo catalogo le produzioni della Westwood e della Maxis, autori dei titoli più venduti per PC come Sim City, Blade Runner, Command & Conquer, Red Alert, The Sims e molti altri. La E.A. si può anche considerare come la prima ad aver iniziato la strategia del seguito prestabilito: infatti ogni anno (sempre nello stesso periodo) escono le nuove versioni dei loro titoli sportivi come Fifa Soccer, NBA Live, NHL, John Madden’s Football e molti altri.
6: I “tie-in” sono dei titoli basati sulla storia e i personaggi di un film. La prima ad inaugurare questo tipo di produzioni fu l’Atari con E.T. di Steven Spielberg. Certi che il nome sarebbe bastato ad ottenere un successo senza precedenti, realizzarono un prodotto piuttosto scadente che fu accolto in maniera così negativa dal mercato tanto da non riuscire a recuperare neppure i costi per l’acquisizione dei diritti.
Non solo: E.T. fu anche il fattore scatenante della grande crisi dei videogames nel 1984.
7:Da cui è nato anche un serial TV.
8:Nel caso poi di Final Fantasy, un film realizzato completamente in computer grafica, il confine fra cinema e videogiochi è piuttosto labile. Il tentativo (secondo molti fallito) era quello di sostituire agli attori dei modelli 3D capaci di non fare rimpiangere uomini in carne ed ossa. Il realismo di questi personaggi è veramente impressionante ma risultano carenti nella recitazione…. Due anni all’Actor’s Studio forse farebbero bene anche a loro!
Ma il cinema, soprattutto per le pellicole destinate al pubblico più giovane, sembra sempre più orientato ai ritmi frenetici, ai montaggi “esagerati” che sono tipici di quelle produzioni elettroniche che per “nascere” hanno precedentemente guardato, loro, alle tecniche cinematografiche.

INDOVINA CHI PROGRAMMA UN VIDEOGIOCO

Anche chi ha sempre pensato che il modo migliore per esprimere storie e pensieri fosse il formato cartaceo9, negli ultimi anni si sta avvicinando con maggiore frequenza ai videogiochi.
Paulo Coelho Clive Barker, Frank Herbert, Tom Clancy, Michael Crichton, Bernard Weber sono i nomi più noti di una lunga lista di autori che hanno deciso di trasporre alcuni romanzi o scrivere una sceneggiatura appositamente per un prodotto elettronico.
Per il nostro percorso, sono utilissime le dichiarazioni di Clive Barker10 che afferma: “Ho appena finito di scrivere un libro e nel corso della stesura mi è capitato spesso di pensare ad un videogame. Ci sono dei momenti nei quali alcuni personaggi devono prendere delle decisioni. Fosse stato un gioco avrei potuto sviluppare la narrazione su piani diversi. Solo i videogiochi offrono tanta libertà (…) Il vero difetto dei videogame oggi è la loro prevedibilità, Eppure nessun gioco è così potenzialmente ricco di emozioni. Io ho intenzione di esaltare questo aspetto (…) Non penso che nessuno abbia ancora scritto il Moby Dick o l’Oliver Twist dei videogiochi. Ci vorranno almeno 10 anni, e richiederà un leggero cambiamento nelle aspettative dei giocatori, in quello che i motori grafici possono fare, e quello che noi creatori vogliamo rischiare. Ma immagino un gioco che abbia la drammaticità di un’opera teatrale, la complessità narrativa e


9: Non ci riferiamo solo agli scrittori ma anche agli autori e disegnatori di fumetti.
10: Dopo Stephen King, il più importante autore al mondo di libri “horror”.
l’impatto emotivo di un libro e che al tempo stesso mantenga le cose che ti
può dare solo un gioco: la possibilità di scegliere la strada che vuoi, senza mai ripetersi due volte. Non c’è ancora un gioco così, ma arriverà.”
Inutile negarlo, devo alle precedenti frasi di Clive Barker la scintilla iniziale di questo elaborato.

WORLD IS ON LINE
Il gioco on-line “linka” milioni di videogiocatori che ad ogni latitudine del mondo si collegano dalla propria postazione, chi per competere in giochi sportivi e di corsa, chi per formare una sorta di “gang” virtuale e sfidare i rivali in combattimenti all’ultimo sangue nelle arene fornite dalla quasi totalità degli shooter in commercio, oppure per esplorare nuovi mondi e città nei giochi di ruolo11.
Le caratteristiche di gioco “multiplayer” si differenziano in maniera netta dal gioco singolo perché l’interazione non avviene più con una intelligenza artificiale (o non solo) ma con quella di altri esseri umani.
Molti li amano alla follia, altri non la considerano ancora una modalità di gioco interessante.
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Re: Storia ed evoluzione dei videogiochi

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VECCHI E NUOVI GIOCATORI
Possiamo dividere in due grandi categorie i videogiocatori di oggi.
La prima viene definita quella degli “hardcore gamers” ovvero la fascia di


11: Leggenda metropolitana: sembra che un esiguo ma compatto numero di giocatori di Ultima, stava riuscendo ad uccidere virtualmente il creatore della serie, Lord British che nel gioco è dotato di grandi poteri e quasi dell’invulnerabilità. Le connessioni di questi giocatori si staccarono in contemporanea, impedendo quindi di portare a termine il loro obiettivo. Sempre secondo la leggenda, furono disconessi volontariamente.
utenza che da molti anni segue con passione gli sviluppi del divertimento elettronico, si presume che abbiano una memoria storica sul fenomeno, è spesso critica rispetto alle nuove produzioni ma possiede più piattaforme da gioco per non perdersi nessuno dei migliori titoli in uscita, si “commuove” utilizzando quei programmi chiamati emulatori12 per rivedere i giochi del passato, hanno un’età compresa tra i 20 ed i 30 anni e sono accomunati anche da un certo risentimento verso l’altra fascia di utenza.
I “nuovi” videogiocatori hanno iniziato a giocare presumibilmente con una Playstation o con il PC, in passato ignoravano (se non disprezzato) il videogaming come forma di intrattenimento, non hanno e presumibilmente non vogliono avere memoria storica e si distribuiscono anagraficamente tra gli 8 e i 45 anni.
L’accusa più dura mossa dai giocatori di vecchia data ai nuovi13 è di aver trasformato l’entertainment elettronico in un mercato di massa e conseguentemente di averlo “mediocrizzato”, “stereotipato” e “banalizzato”.
Siamo “completamente d’accordo….a metà”14 con l’accusa degli hardcore gamers. In seguito torneremo sull’argomento.

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12: Gli emulatori sono dei programmi che permettono di far girare su PC i titoli di piattaforme del passato (antico e recente) ed anche le produzioni da bar. In Internet, se pur rimane una pratica illegale, si può trovare qualsiasi gioco prodotto in questi primi 50 anni di videogiochi.
Ci sembra lecito sottolineare come siano in questo campo siano i programmatori italiani a detenere la leadership delle migliori produzioni.
13: E’ bene comunque ricordare che se il mercato è cresciuto così tanto in termini di fatturato è proprio grazie all’utenza di seconda generazione.
14: Citazione di una vecchia intervista ad un calciatore, un momento cult di Blob e Mai Dire Gol.

PATCHMANIA
Forse è stato ripetuto già troppe volte in questo capitolo, ma il mondo dei videogames sta cambiando. Un’altra novità interessante (soprattutto per il nostro percorso) è l’uso sempre più frequente delle patch15, piccoli programmi quasi sempre gratuiti facilmente scaricabili da Internet e che vanno ad influenzare le caratteristiche di un programma già in possesso.
All’inizio, l’uso delle patch era quasi esclusivamente quello di correggere degli errori di compatibilità o altri problemi tecnici ma si è presto scoperto che potevano essere usate con molte altre finalità.
Sono nati i primi siti in cui si potevano scaricare per il proprio gioco di calcio le maglie della nuova stagione oppure della squadra del cuore che si trova nei campionati minori fino a vari tipi di scarpette, palloni, porte, reti, cartelloni pubblicitari, tutte cose facilmente e ben realizzate anche da grafici e programmatori non professionisti e senza finalità economiche.
Vogliamo parlarvi in maniera più approfondita di due patch veramente particolari. La prima è un produzione italiana chiamata Grande Fragtello in cui, come si evince dal nome, ci troveremo nell’ambientazione del Grande Fratello e con strumenti di offesa tipo fucile a canne mozze e mitragliatore dovremo “confrontarci” con gli occupanti della casa più famosa d’Italia. Grande Fragtello è stato realizzato da tre studenti dell’Accademia di Belle Arti di Brera, realizzando una patch grafica per uno shooter molto noto chiamato Quake16. Ancora più recente, esattamente 20 giorni dopo le tragedie di New Jork e Washington, è la realizzazione in 3D da parte di una software house americana di Osama Bin Laden ed utilizzabile come
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15: Possiamo tradurre letteralmente dall’inglese patch come pezza o toppa. Si usa anche il termine MOD per indicare un nuovo livello di gioco creato amatorialmente per un gioco.
16: Realizzato dagli stessi autori di Doom.
avversario in tutti i giochi in soggettiva più famosi.
Nei primi 5 giorni in cui è stata disponibile, la Patch “Osama” ha registrato il download da parte di più di 20.000 utenti.
Un’altra leggenda metropolitana dice che sia possibile trovare in Internet una patch identica a quella realizzata per Bin Laden in cui però l’avversario raffigurato da sconfiggere è George Bush JR ma al momento in cui sto scrivendo, non sono in grado di darvi conferma su queste dicerie.



2002: ODISSEA NEL VIDEOGAMING

Con le migliori intenzioni, si è cercato fino a questo momento di presentare una ricostruzione sintetica ma che reputiamo abbastanza vicina alla realtà, di questi primi 50 anni di videogaming e delle sue nuove caratteristiche in tempi recenti.

Vi abbiamo “contestualizzato” ma ora è giunto il momento di intraprendere il “vero cammino” per riflettere su nuove possibili forme, contenuti, utilizzi, estetiche del “videogaming che verrà”.
Il primo passo sarà quello di provare a scardinare i pregiudizi insiti in molti non videogiocatori che reputiamo non corrispondenti al vero.
Poi giungerà il momento più difficile di questo elaborato: analizzare le mancanze nel modo di produrre videogiochi e proporre delle soluzioni realizzabili nel contesto sociale, economico e culturale in cui siamo immersi.
Non si tratta di affermazioni categoriche, sarebbe un peccato di superbia, ma un punto di vista che reputo possa favorire un ragionamento importante riguardo questo medium di cui ancora non si sono sfruttate appieno le doti immense di suggestività emozionale e possibilità narrative.
Si va ad incominciare…


“VIDEOGAMES? ROBA DA RAGAZZINI”
I pregiudizi dei non videogiocatori

“Sono Solo Macchinette”
(Massimo Cacciari)
Pregiudizio: “Idea od opinione errata, anteriore alla diretta conoscenza di determinati fatti e persone, fondata su convincimenti tradizionali e comuni ai più, atta a impedire un giudizio retto e spassionato1”.

Forse non è poi così corretto parlare di esperienze personali ma se da parte di tanti “colleghi videogamers” interpellati, il progetto di questo elaborato ha suscitato vibrante interesse ed anche costruttive critiche ed obiezioni all’impianto generale del testo, non è mancato invece sarcasmo, ilarità ed anche un pizzico di compassione nelle reazioni di molti “non gamers”.
Il motivo?
Sarà la sua relativamente giovane età, la sua particolare natura di medium, l’essere categorizzato prevalentemente nei consumi adolescenziali, ma il videogiocare, e di conseguenza i suoi utenti, soprattutto in Europa, è considerato ancora da molti “roba da ragazzini”.
Il videogaming è vittima di frequenti pregiudizi e “discriminazioni”.
Già dovreste aver letto come si avvicina al fenomeno un uomo di cultura importante come Massimo Cacciari e non può rimanere inosservato il titolo che Ciro Ascione ha dato al suo interessante testo (per di più uno dei pochissimi italiani):“Videogames: Elogio del tempo sprecato”, una sorta di provocazione per “difendersi” dai detrattori di vario genere.
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1: Dal Vocabolario Zingarelli
Come se un appassionato di cinema, musica, arte o letteratura dovesse giustificare la sua passione: se non si è professionisti del settore, non sarebbe tempo sprecato anche quello dedicato alle attività precedentemente elencate?
E’ prevedibile che alcuni, alla lettura dell’affermazione precedente stiano indirizzando vari improperi alla direzione dell’autore. Immagino alcune reazioni: “Ma come? Accostare Dante e Petrarca a Pac Man e Mario Bros, Ejzenstein e Orson Wells a Lara Croft e Donkey Kong!”
”La crescita culturale che può dare un libro paragonabile ad attività primitive come rincorrersi virtualmente in bui labirinti per squartare l’avversario di turno? Follia, pura follia”.
Cercheremo di convincere anche voi.

L’EQUIVOCO DEL TERMINE

Gioco: ”Ogni esercizio compiuto da fanciulli o adulti per ricreazione, divertimento o sviluppo di qualità fisiche ed intellettuali”2.

Reputo che molti dei pregiudizi legati alla storia dei videogames siano nati proprio a causa del termine scelto per descrivere il ludus elettronico interattivo e sulla concezione erronea di gioco esclusivamente come attività ricreativa (per questo ne abbiamo riportato l’esatta definizione).
C’è un’ampia parte della popolazione adulta che considera il gioco come un’attività legata all’età puerile, tollerabile al massimo fino al periodo adolescenziale.
Quindi gioco e videogioco, secondo questo pensiero, si dovrebbero fermare
al raggiungimento della maggiore età ed essere completamente sostituiti
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2: Vedere nota 1.
dall’interessarsi a questioni “più importanti” come il successo lavorativo, il costruire una famiglia, l’elevazione dello status sociale3 etc.
Eppure negli ultimi anni, si è acceso un dibattito molto interessante sul cosiddetto “Homo Ludens”4 che, grazie soprattutto al forte influsso della cultura americana, maggiormente incline al gioco anche in età adulta, si starebbe imponendo anche in Europa.
Il cambiamento di prospettiva si sta effettivamente realizzando anche nel vecchio continente ma in maniera piuttosto lenta e soprattutto arbitraria riguardo al cosa considerare socialmente accettabile o meno.
Per il videogaming, la strada si è aperta ma risulta essere ancora in salita.
Massimo D’Alema ai tempi della sua presidenza al consiglio, in un’intervista alla trasmissione Golem, si dichiarava abituale giocatore di quei titoli5 preinstallati in Windows come Freecell, un gioco di carte con una certa logica.
All’Onorevole D’Alema (comunque l’unico, a mia conoscenza, nel mondo politico ad aver espresso pubblicamente un minimo di interesse per i videogiochi) e a tutti i giocatori dei solitari di Windows consigliamo di esplorare i tanti universi virtuali a disposizione come nella saga di Myst che ci regala mondi paralleli realizzati con una cura grafica tanto curata da far sembrare ogni schermata un quadro e con tanti enigmi logici da risolvere che per il terzo episodio c’è voluto il supporto di ben 4 cd per contenere tutto il programma.
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3: Qualche anno fa, sarebbe stato opportuno inserire in queste voci anche l’interesse ad attività sociali e la partecipazione attiva alla politica ma visti i mutamenti degli ultimi anni, oggi ci saremmo rivolti soltanto ad una esigua minoranza.
4: Non si andrà oltre nella discussione riguardo l’importanza del gioco in età adulta riguardo l’aspetto psicologico, sociale e culturale perché sarebbe argomento esclusivo di un elaborato dalle dimensioni anche maggiori di questo.
5: Tuttavia smentisce di essere giocatore del flipper di windows, di cui invece, secondo D’Alema, un altro esponente DS, Fabio Mussi, sarebbe un grande appassionato.
Per non parlare poi dei titoli gestionali e dalla natura prettamente politica come Sim City in cui avremo il ruolo di “super sindaco” di città già esistenti o realizzabili ex novo.
In entrambi i casi, ci troveremo di fronte a scelte economiche, morali, ambientali e sociali che si avvicinano incredibilmente a quello che è il ruolo
degli enti locali reali.
Durante una conferenza di sindaci tenutati a Portland (USA) nel 1994, più di cento amministratori di città “vere” si sono confrontati su Sim City; lo stesso viene utilizzato, sempre negli Stati Uniti, in alcuni corsi di educazione civica e progettazione urbanistica.
Non solo politica comunque: chi ha predisposizioni spirituali, avrà una vasta gamma di titoli dedicati a “simulazioni di zio” in cui si è creatori personali di interi universi.
Dilettanti ed affermati broker finanziari avranno a disposizione una serie di programmi che metteranno a prova la loro capacità di muoversi tra dow jones, nasdaq, brent, midex, numtel & co. senza rischiare le proprie finanze reali.
Con il titolo giusto, potrete anche gestire imperi del crimine mafioso, multinazionali, catene di ristoranti e pizzerie, stazioni, aeroporti, eserciti (presenti, passati e futuri), luna park, televisioni, radio, produttori cinematografici (anche hard core), manager in qualsiasi settore sportivo e dello show business….
E molti dei titoli più recenti, hanno raggiunto un livello tale di intelligenza artificiale da non far assolutamente “rimpiangere” la realtà.
Non sono comunque interessate solo le attività celebrali nei videogiochi.
In campo militare6 e civile, simulazioni elettroniche vengono realizzate per
addestrare piloti di aerei e veicoli terrestri.
Formula 1: le case automobilisti usano i titoli dedicati alle corse più
veloci del mondo per mostrare ai piloti esordienti le caratteristiche di piste a loro ignote e su cui dovranno competere nella vita reale.
Anche la prontezza dei riflessi può essere migliorata con tantissimi titoli in cui, per andare avanti nella prosecuzione, è indispensabile una risposta sensoriale “fulminante”.
Se anche disdegnate l’attività ricreativa (video)ludica ma comunque tenete alla vostra crescita intellettuale7 o sensoriale, non potete disprezzare il (video)gioco.
Non siete ancora convinti che il (video)gioco sia utile? Eccovi allora l’intervista a Paolo Fuligni, psicologo e psicoterapeuta livornese che riportiamo dal sito POL (Psychiatry on Line). Si reputa opportuno presentarvi l’articolo completo per l’importanza del suo contenuto.
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6: C’è sempre stato un forte interscambio tra l’industria militare e quella dei videogiochi. Alcuni titoli realizzati appositamente per l’esercito di qualche paese del mondo, dopo qualche anno vengono “riciclati” come prodotti per l’entertainment di massa. In altri casi, avviene il processo inverso: titoli usciti per il mercato, e di ottima qualità, vengono poi utilizzati a scopo di addestramento dagli eserciti stessi.
7: A supporto di questa affermazione riportiamo uno studio condotto da ricercatori americani dell’Economic and Social Research Council (e riportato da The Games Machine, la rivista dedicata ai videogiochi per PC più venduta in Italia), secondo cui un uso moderato che non sconfini nell’ossessione aiuta a sviluppare una mente più agile, favorendo altresì la capacità di concentrazione e di coordinamento tipiche degli atleti di alto livello. La ricerca prosegue affermando che le nuove generazioni di videogiocatori hanno beneficiato di stimoli che arrivano in età precoce, così da sviluppare attitudini sociali e accademiche più pronunciate rispetto al passato. In tal senso, i contributi dei videogiochi sarebbero superiori non solo a quanto apporta la televisione ma anche la lettura. Lo studio è stato effettuato su 100 videogiocatori britannici, selezionati fra coloro che partecipano a gare videoludiche nazionali o regionali. Mentre una esigua minoranza mostrerebbe un interesse ossessivo per i giochi, la maggioranza avrebbe interessi molto più vari della media, con una vita sociale intensa. I ragazzi studiati passano in media 18 ore alla settimana giocando, pari a due ore e mezza al giorno, tempo che viene comunque affiancato costantemente ad altre attività come la socializzazione, la lettura e lo sport.

Curare le nevrosi con Doom II
di Marco Gasperetti
A cura di Gennaro Esposito
Fonte: http://www.apogeonline.com/informaz/art_261.html
Secondo Paolo Fuligni, psicologo e psicoterapeuta livornese, Doom II può essere utile per combattere alcuni tipi di nevrosi e aiutare alcuni pazienti ad acquistare maggiore fiducia in se stessi. Nella terapia del dottor Paolo Fuligni, psicologo e psicoterapeuta livornese, c'è anche Doom II. Sì, avete capito bene, proprio il videogame finito nella hit-parade mondiale dei giochi elettronici più violenti e diseducativi.
Secondo Fuligni, Doom II può essere utile per combattere alcuni tipi di nevrosi e aiutare alcuni pazienti ad acquistare maggiore fiducia in se stessi.
E non c'è da meravigliarsi perché, come spiega Fuligni, "il gioco è sempre stato impiegato in psicologia clinica. Basti pensare che a inventare i mattoncini Lego fu uno psicologo inglese. I videogame sono soltanto l'evoluzione dei giochi tradizionali.
Doom? L'ho usato in alcuni soggetti adulti con forme di inibizione cognitiva. Erano timorosi, incapaci di difendersi e quindi soggetti ad essere aggrediti. Doom, insieme a un'adeguata psicoterapia, li ha aiutati a migliorare, perché davanti al computer sono riusciti a ricreare quel blocco psicologico che li rendeva insicuri e a superarlo. Certo, sono casi limite e non voglio fare l'elogio dei giochi elettronici violenti. No, la violenza è deleteria, soprattutto nei giovani e va evitata".
Fuligni non è il solo psicologo in Italia a impiegare i videogiochi nelle terapia e, ovviamente, non utilizza soltanto Doom II. Nel suo studio ci sono videogame studiati per migliorare la memoria, altri per stimolare capacità danneggiate da un trauma. E una serie di simulazioni alle quali lo psicologo dà un'importanza particolare.
“Ce ne sono alcune così realistiche - spiega ancora Fuligni - capaci di dare un grande contributo alla lotta contro le fobie. Una decina di anni fa, utilizzando un vecchio computer 286, il gioco Flight Simulator della Microsoft e un adeguato assetto cognitivo-comportamentale, sono riuscito a risolvere i problemi di alcune persone aviofobiche, cioè assalite dalla paura di volare.
Non solo le spingevo ad andare all'aeroporto e a leggere riviste dedicate al volo, ma le facevo giocare con Flight Simulator. All'inizio erano a disagio, manifestavano segni di rifiuto, che sono andati lentamente scomparendo dopo ogni seduta. Alla fine queste persone sono tornate a volare su un normale aereo di linea e hanno superato angosce e traumi".
Secondo Fuligni, anche altri programmi possono aiutare a superare le nevrosi. "Da anni - dice - negli Stati Uniti software di simulazione aiutano a tornare alla guida persone che hanno subito gravi shock da incidenti. Poi c'è tutto l'universo dell'handicap nel quale il personal computer e i videogiochi hanno un'importanza a volte determinante".
Il futuro? "A noi psicologi piacerebbe avere un software personalizzabile capace di creare videogiochi su misura. Sarebbe il massimo per mettere appunto terapie personalizzate". Negli Stati Uniti i videogiochi nella psicoterapia clinica sono entrati da più di vent'anni. Alla fine degli anni Settanta alcuni ricercatori, tra i quali, W. J. Lynch , Jo Douglas e John Malec, scandalizzando il mondo scientifico, iniziarono a far giocare i propri pazienti con Space Invaders e le prime versioni di simulatori di volo.
Space Invaders, nato nel 1978 e primo esempio di "arcade spara tutto", venne impiegato per la riabilitazione cognitiva di persone che avevano subito uno shock (incidente stradale, cadute, traumi); i giochi di simulazioni di volo per combattere l'aviofobia, la paura di volare.
Da allora divertimento elettronico e psicologia clinica sono diventati alleati e l'esperienza d'Oltreoceano si è trasferita, se pur con qualche difficoltà, anche in Italia. Due le principali applicazioni: in psicologia dell'età evolutiva e dell'apprendimento e in psicologia clinica. "Il videogioco può essere un eccellente vettore di conoscenza e aiutare il bambino a crescere - dice la professoressa Carmen Betti, docente di Pedagogia generale all'Università di Firenze -. Anche perché aiuta i bambini a comprendere più linguaggi e a confrontarsi con loro. Certo, la qualità è indispensabile, ma se non si abusa di violenza i ragazzi possono migliorare le proprie qualità cognitive".
Software ludico viene applicato con successo in soggetti ipercinetici, con disturbi dell'attenzione e persino con difficoltà nella socializzazione. In quest'ultimo caso gli psicologi impiegano giochi in rete: via telematica i bambini giocano con altri coetanei che rifiuterebbero con un normale contatto e si abituano a conoscerli. Insomma, diventano amici prima nel cyberspazio e poi nella realtà.
Anche nella psicologia clinica vi sono importanti applicazioni. Il computer è associato spesso al metodo cognitivo comportamentista. Il videogioco crea una realtà virtuale e il paziente può rivivere le emozioni che lo turbano e, con l'aiuto dello psicologo, superarle.
Il futuro? Quello di riuscire a realizzare videogiochi su misura. Alla Northwestern University, nei pressi di Chicago, l'équipe del professor Roger Schank costruisce sistemi virtuali e immersivi adatti per ogni tipo di nevrosi. Ma ciò che serve è un applicazione semplice "fai da te" da utilizzare in ogni studio, semplicemente, senza conoscere codici di programmazione. Un modo per adattare le esigenze di singoli pazienti allo "psico-gioco".
Permettetemi di aggiungere che….Giocare è una cosa seria.

IL VIDEOGIOCO E’ UN NEW MEDIUM
IL MEDIUM NON E’ IL MESSAGGIO


Medium:”Ogni strumento di divulgazione dell’industria culturale, quale la stampa, il cinema, la televisione…”.

Per quanto questo capitolo, per varie affermazioni fatte, potrebbe già essere bollato di “eresia culturale”, il ribaltare la concezione8 di Marshall McLuhan “Il medium è il messaggio” non vuole essere una contrapposizione al grande studioso canadese che aprì un solco fondamentale per lo studio delle comunicazioni di massa.
L’attacco, per così dire, è a chi bolla “buono o cattivo” il medium in sé, come se fosse, sempre il medium, responsabile dei suoi contenuti.
Vi presentiamo un breve elenco degli aggettivi usati9, da coloro che ritengono il videogaming “un male”: violenti, diseducativi, nichilisti, anarcoidi, fascisti, immorali, didascalici, semplicistici, razzisti, alienanti, ripetitivi….
Inutile negarlo che esistano videogiochi dalle caratteristiche corrispondenti a questi aggettivi, ma a qualcuno è mai venuto in mente di affermare che il medium libro sia razzista perché Adolf Hitler ha scritto il Mein Kampf?
O che il cinema sia da bollare esclusivamente come diseducativo per la moltitudine di pellicole di basso profilo e dal forte contenuto violento?
Sarebbe inutile continuare ad elencare altri esempi per dimostrare un
concetto così evidente.
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8: Che comunque è stato interpretata da molti in maniera differente dal significato iniziale che McLuhan aveva dato alle sue parole. Sull’argomento consigliamo la lettura della spiegazione che ne danno Fabio Ciotti e Gino Roncaglia in “Il Mondo Digitale”.
9: In realtà, almeno in parte, simili a quelli usati frequentemente per la televisione.
La questione medium non si esaurisce però nei suoi contenuti.
Un altro attacco, meno ingenuo del precedente, si rivolge alla forte suggestività sensoriale che il videogaming avrebbe soprattutto nelle fasce di età più basse10.
E’ innegabile l’impatto che soprattutto nei più giovani, alcuni titoli possano suscitare ma ricordiamo che sono oramai vigenti anche in Italia delle limitazioni di vendita per i titoli più violenti: queste risultano anche più restrittive rispetto ai parametri per decidere di vietare i film a certe fasce di età. E poi ribaltiamo per un momento il concetto: se il videogioco ha questa grande forza di catturare l’attenzione dell’utente, pensate a quelle che potrebbero essere le applicazioni “positive” come l’apprendimento e lo scambio interculturale11.
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10: Tutti ricorderanno, come caso limite, la discussione sulla responsabilità di alcuni videogames che avrebbero causato crisi epilettiche.
Quello che segue è l’intervento di Dario Varin, docente di psicopedagogia dell'età evolutiva all'università Statale di Milano, intervistato da Panorama on line su videogiochi violenti e crisi epilettiche “Come qualsiasi altro medium, cinema o televisione, esistono prodotti diseducativi e violenti e prodotti di valore per la crescita del bambino. Se il bambino è sano e la sua situazione psicologica è frutto di una corretta educazione, giocare ai videogiochi non è un rischio”. Per quanto riguarda le crisi di epilessia, secondo Varin i videogiochi sono un pericolo solo per quelle persone già predisposte a questi disturbi. “Come gli effetti speciali del cinema, le animazioni dei videogiochi sono composte da una velocissima sequenza luminosa di immagini fisse (più di 50 al secondo) che scorrono sullo schermo. È naturale, con la capillare diffusione dei videogame nelle case, che questo strumento diventi un rivelatore di disturbi più gravi. L'unica regola sicura è affidarsi al buon senso e impedire ai bambini di trascorrere tutto il tempo libero incollati ai giochi elettronici”.
11: Roberto Maragliano, presidente della commissione di saggi nominata dall’allora ministro Berlinguer per la riforma delle scuole, ha scritto: “il videogioco è la più grande rivoluzione epistemologica di questo secolo. Ti dà una scioltezza, una densità, una percezione delle situazioni e delle operazioni che puoi fare al loro interno, che permette di esaltare dimensioni dell’intelligenza e dello stare al mondo finora sacrificate dalla cultura astratta”.
Di questo argomento comunque si parlerà più approfonditamente nel prossimo capitolo.
Infine, elevandoci ancora nella discussione, si indica il videogioco come incapace di essere portatore di un certo tipo di contenuti, emozioni, storie e narrazioni; sarebbero inconvertibili quindi sui monitor di PC e console certi procedimenti comunicativi del cinema, della letteratura o di altri medium.
Non ci sembra di essere lontani dalla verità quando affermiamo che le stesse critiche all’inizio del secolo scorso venivano rivolte verso un nuova forma di comunicazione chiamata cinema: in quel caso, molti erano convinti che la mancanza materiale dell’attore sarebbe stato un elemento determinante nel fallimento della cinematografia come mezzo artistico, narrativo e culturale.
Sappiamo tutti come è andata avanti la storia del cinema.
Tornando ai videogiochi, non esistono più problemi tecnici o strutturali che potrebbero limitare la creatività dei narratori o l’arte di grafici e musicisti. Sono altri i problemi del videogaming. Basta girare pagina per incontrarli.



LETTERA AI MIEI AMICI VIDEOGIOCHI

Cari amici videogiochi,
se avete letto fino a questo momento le mie riflessioni, la vostra autostima dovrebbe essere notevolmente aumentata al punto tale da chiedervi, forse, perché non ho chiamato questo elaborato "Apologia del Videogioco".
Ho cercato di raccontare nel miglior modo possibile la vostra storia di quasi 50 anni, come siete cambiati in questi ultimi tempi ed ho anche provato, con i mezzi a mia disposizione, di farvi "voler bene" anche da chi non vi sopporta proprio ed ha nei vostri confronti dei pregiudizi decennali al punto tale da non essersi neppure accorti di quanto siete cresciuti e maturati.
Però.... c'è un però.
Proprio PERCHE’ vi voglio bene e reputo che abbiate maggiori capacità espressive dei vostri fratelli maggiori cinema, letteratura, musica, teatro e televisione (a cui tutti comunque tengo tantissimo, anche perchè da loro prendete molta della vostra personalità), credo che ancora avete molta strada da fare nel processo di evoluzione del vostro linguaggio, dei contenuti, delle applicazioni, della diversificazione.
Per quanto tante critiche siano frutto di un approccio superficiale al vostro essere, al tempo stesso è indubbio che la crescita di questi anni non sia stata molto proporzionata: le capacità audiovisive che avete a disposizione sono diventate così incredibili al punto tale che qualcuno inizia a chiedersi fin quando e dove potrete crescere, ma contemporaneamente non sono il solo a percepirvi incompleti nell'aspetto dei contenuti e dei modi narrativi che ci presentate.
E' per questo che subito dopo avervi salutato, umilmente cercherò di darvi alcuni consigli per superare i problemi che percepisco nel rapportarmi con voi. Se lo faccio è proprio PERCHE’ vi voglio bene, PERCHE’ possiate iniziare a camminare a testa alta di fronte agli altri media, entrare negli ambiti della cultura istituzionale, nei suoi salotti buoni, nei programmi televisivi di maggior successo, che finalmente siano riconosciuti i vostri meriti ed anche PERCHE’ comunque avete effettivamente ancora bisogno di crescere: sarebbe veramente un peccato non sfruttare appieno la vostra forte capacità emozionale e suggestiva; non che sia un male il fatto che alcuni guadagnino milioni di dollari con voi, anzi, cercheremo di rendervi un investimento ancora migliore, ma se foste gli strumenti di altri fini e cause non ci dispiacerebbe affatto.
E poi, lo ammetto, lo faccio anche per me e per tutti quelli che vi vogliono bene, PERCHE’ non si debba più nascondere una passione a meno di non vedere nella faccia di alcuni stupore o ilarità soprattutto se si hanno più di vent'anni, PERCHE’ è troppo tempo che ci tocca difendervi da accuse assurde e quando parliamo di voi lo vorremmo fare per altri motivi e PERCHE’ a scienze della comunicazione, insieme ai corsi di linguaggio cinematografico e radio-televisivo, mi sarebbe piaciuto affrontare un bell'esame di teorie e tecniche del linguaggio videoludico. Oramai io non lo potrò più fare ma sarei comunque contento se un giorno entrerete anche voi all'università da protagonisti e non sotto i banchi con qualche Game Boy Advance durante le lezioni di altre materie...
Spero solo di dare un piccolo contributo al vostro miglioramento visto che in questi 22 anni (a 4 anni già giocavo a Pong), oltre ad avermi fatto divertire "da paura" se c'è qualcosa che mi ha tenuto lontano dai grandi errori che si possono compiere nella vita (di quelli medio-piccoli ne ho fatto milioni e milioni ma chi non li fa?) lo devo proprio a voi, oltre alla musica, alla mia famiglia e a qualche (pochi ma veri) amica ed amico.
A voi, care "scatole infernali", la mia riconoscenza ed il mio amore vi vorrebbero finalmente veder diventare il media leader per sognare, raccontare, viaggiare, per vedere un "raggio di sole" (se pur virtuale) in questa valle di lacrime (Yes, Nietzsche...) in cui siamo noi tutti.
10 PROPOSTE PER CAMBIARE I VIDEOGIOCHI
1
“SIAMO ANCORA AI TEMPI DI JOHN WAYNE”…
I PROTAGONISTI


Se nei giochi di un tempo, la grafica spartana ed il tipo di interazione che ci veniva proposto, rendevano poco importante la caratterizzazione del nostro alter ego digitale che vedevamo muoversi ai nostri “ordini” sul monitor, il progresso tecnico1 e l’importanza crescente della trama (almeno in certi generi) hanno portato ad una forte simbiosi tra controllore e controllato.
Se avete letto attentamente anche le note di questo elaborato, dovreste essere già a conoscenza del fatto che alcune software house, soprattutto in Giappone, svolgono anche delle ricerche di mercato per scegliere le componenti caratteriali ed estetiche da attribuire ai propri personaggi.
Perché allora siamo ancora ai tempi di John Wayne? Perché nel 95%2 dei giochi attuali la nostra “reincarnazione virtuale” sarà un individuo molto al di sopra della media, con delle doti incredibili nello specifico campo di interesse, frequentemente con un fisico atletico, slanciato, muscoloso e uomo3 di comando (che sia militare o civile).
A differenza dei “tempi di John Wayne” però, nei videogames il nostro eroe potrà avere sani principi morali oppure il suo gemello del lato oscuro ossia
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1: Compresi i filmati introduttivi realizzati a volte con attori veri o con figure digitali piuttosto realistiche.
2: Dei rappresentanti del restante 5% parleremo nel prossimo capitolo.
3: Non che siano solo maschili i personaggi di un videogioco, basta pensare al successo di Lara Croft. Ma ad un’analisi più attenta, la stessa Croft e le sue numerose replicanti, tranne avere delle forme volutamente sensibili alla percezione maschile, hanno le stesse identiche caratteristiche precedentemente illustrate.
essere sempre un super uomo però lottare a fianco delle forze del male.
Può essere utile un ipotetico esempio di stretta attualità: immaginiamoci che una software house decida di realizzare un videogame sui fatti di Genova
durante il G8: potete essere quasi certi che ci troveremmo a svolgere il ruolo o di gruppi speciali delle forze dell’ordine o ad indossare i panni (virtuali) di un componente del “black block”: meno probabile, se non impossibile, rivivere quei tre giorni come un poliziotto ordinario o da manifestante pacifico.
Ed invece pensiamo a quanto potrebbero ancora arricchirsi le nostre esperienze di gioco virtuale con persone “normali”: penso ad un titolo di guerra in cui, invece del solito “super addestrato - invincibile - posso fare fuori da solo 10000 avversari anche a mani nude” siamo solo dei soldati semplici di varie epoche storiche che oltre ad eseguire gli ordini, cercano
soprattutto di rimanere vivi tra bombardamenti, fuochi incrociati e malattie di vario genere4, il tutto cercando di riportare quelle che potrebbero essere le sensazioni di un soldato da trincea.
Immagino cosa potrebbe significare, anche in termini educativi, controllare un portatore di handicap costretto all’uso di una sedia a rotelle che di fronte a barriere architettoniche, dovrà seriamente ingegnarsi5 per portare a termine quello che i programmatori hanno deciso.
Anche a livello narrativo, pensiamo un gioco senza dialoghi ma
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4: In realtà su Commodore Amiga ricordiamo Lost Patrol della inglese Ocean in cui una pattuglia di soldati americani era rimasta isolata nella jungla vietnamita e doveva trovare la strada della salvezza in mezzo alle linee nemiche. Se l’idea era degna di lode, i mezzi a disposizione 14 anni fa, non permettevano grandi possibilità di esprimere emozioni, stati d’animo, sensazioni delle truppe ed quindi il titolo non godeva di grande fascino.
5: Sicuramente “enigmi” molto più difficili e drammatici da superare rispetto a quelli tipici dei videogames.
caratterizzato esclusivamente da immagini dove controlliamo un animale destinato alla vivisezione e che riesce a fuggire dalla sua gabbia e dovrà trovare la via per scampare ad orrende mutilazioni ed esperimenti sul suo corpo. Oppure essere noi stessi, un John Smith, un Mario Rossi, uno Josè Rodriguez qualunque che per l’intreccio della trama si trova coinvolto in complotti internazionali o cospirazioni segrete, come succede nel film Minuti Contati con Johnny Deep e Christopher Walken. La trama racconta di un uomo, Gene Watson, da poco vedovo, e della sua figlioletta Lynn che giunti alla Union Station, nel centro di Los Angeles, per un appuntamento, vengono improvvisamente presi in ostaggio da una coppia di finti poliziotti. All'uomo è consentito di allontanarsi, ma con un preciso scopo: dovrà commettere l’omicidio della governatrice dello Stato entro i successivi 90 minuti (con un montaggio in tempo reale), altrimenti la bambina verrà uccisa, circostanza che ugualmente si verificherà nel caso in cui egli tenti di avvertire le autorità della cosa o comunque cerchi aiuto6. Ci sembra un’ottima base per un gioco di successo, peccato che nessuna software house abbia mai pensato a questo film fino ad oggi. Rimaniamo al cinema. Molti lungometraggi, soprattutto in questo ultimo decennio si sono occupati della tematica omosessuale: per quello che può ricordare la memoria, invece mai nessun videogioco ha presentato un soggetto gay7 o
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6: Secondo Farinotti c’è “buona tensione fra una manifestazione e l'altra, con Walken che fa il cattivo e Depp un personaggio molto vicino a certi uomini della strada coinvolti in vicende enormi, che tanto piacevano a Hitchcock”.
7: Citiamo, per la sua ironia, l’onnipresente in questo elaborato Clive Barker che nel corso di un’intervista riguardo la realizzazione di Undying, di cui ha scritto la sceneggiatura, alla domanda su quale fosse stato il suo contributo principale ai cambiamenti apportati al gioco rispose: “Sicuramente il personaggio principale. La prima versione non era molto accattivante. Come omosessuale ho chiesto loro: portatemi qualcuno con cui posso andare a letto! E dannazione, l’hanno fatto! Sto esagerando, ovviamente, ma hanno davvero realizzato un personaggio sexy. Non è una caricatura, ti guarda con occhi umani e dice: stai per indossare la mia pelle. Prendine cura!”.
lesbica come protagonista se escludiamo Candy, l’alieno di Stupid Invaders della francese Ubisoft, titolo comunque completamente immerso in una forte componente ironica e quindi la caratterizzazione omosessuale serviva solo come ulteriore pretesto per un numero maggiore di gags all’interno del gioco.
Reputo che anche in questo caso, impersonificare il “diverso” (nel senso letterale di differente da sè e non in maniera discriminatoria) potrebbe rappresentare un’esperienza di gioco stimolante ed originale.
Un altro consiglio, questa volta di marketing, alle software house: non trovate che sarebbe un’ottima trovata pubblicitaria proporre il primo titolo con protagonista un attore virtuale omosessuale? Pensate a quanta promozione gratuita fatta da tanti organi di informazione che per una volta non si occuperebbero di videogiochi per i titoli più violenti.
Già come si evince da questa eterogenea lista di esempi si può dedurre di come le potenzialità del videogioco siano ampiamente sotto sfruttate.
L’utente finale potrebbe usufruire di una più vasta gamma di scelta per il proprio divertimento elettronico: nel mio immaginario dovrebbe rispecchiare un panorama ampio almeno quanto (se non più) quello cinematografico nella scelta del protagonista. Ma allora perché tutto questo non accade? Chi giustifica l’attuale situazione riguardo le caratteristiche degli “attori virtuali” nei ruoli principali dei videogames, adduce a motivazioni strutturali lo stato di cose esistenti.
Secondo questa tesi, produrre oggi un videogioco di fascia medio-alta significa compiere degli investimenti di svariati miliardi di lire e quindi per generare un profitto bisogna imprescindibilmente proporsi al mercato con un titolo destinato al pubblico di massa, in quanto i target di nicchia nell’entertainment informatico, a differenza del cinema, sarebbero a tal punto numericamente risibili da non permettere alle software house di pensare a prodotti destinati a queste fasce di utenza.


E poi, sempre per i “giustificazionisti”, nel videogioco, ancora più che nel cinema è importante il processo di impersonificazione8 che abbiamo con il
nostro protagonista virtuale: così se nel pubblico cinematografico di “massa”, diversità o “eccessiva” realtà9 degli interpreti possono essere maggiormente accettati, ciò non potrebbe accadere quando abbiamo in mano un joystick o un gamepad.
Anche se probabilmente queste sarebbero le stesse motivazioni con cui risponderebbero le software house alla domanda per cui sfornano decine di
titoli con personaggi clonati da un capostipite tipo Lara Croft ed altri, mi permetto di controbattere a questa teoria.
La prima risposta grossolana che mi passa per la testa è… “ma perché non ci provate? Sarà stato un esperimento venuto male ma quante volte è accaduto, nel campo dell’industria dei media, che successi annunciati si sono poi rivelati flop e viceversa? Una grande software house multinazionale potrebbe sicuramente permettersi al limite di sbagliare una volta… tanto capita già così di frequente!”.
Con minor slancio, si può innegabilmente affermare che i costi per un titolo elettronico sono effettivamente piuttosto alti e che le nicchie “sicure” nei videogiochi sono quelle, ad esempio, interessate ai simulatori di volo, ma reputo che forse con una maggiore diversificazione dei personaggi, si potrebbero avvicinare all’entertainment informatico soggetti che in precedenza non avevano neppure preso in considerazione l’idea di giocare, probabilmente proprio per l’eccesso di stereotipi del videogaming di oggi.
La differenziazione potrebbe far cadere qualche pregiudizio di alcuni nei confronti del videogaming. Riguardo poi il problema della maggiore
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8: Lasciamo ad altri l’argomento che potrebbe essere sufficiente per un’altra tesi di laurea.
9: Ci riferiamo al soldato semplice e agli uomini della strada di cui abbiamo parlato in precedenza.
importanza dell’impersonificazione, qui si entra nel difficilissimo campo dell’incerto, del non sicuro: lasciamo far decidere il mercato e l’utenza se la diversità non viene gradita dai videogiocatori; forse potremmo trovarci di fronte a grandi sorprese.
Infine, se i nomi altisonanti dell’industria videoludica non prendessero neppure in considerazione l’idea proposta, la diversificazione potrebbe diventare la chiave di volta per una piccola etichetta che, senza possibilità di ingenti investimenti, potrebbe “sfidare” su un piano diverso le grandi software house: visto che da un punto di vista tecnico non ci sono chances di vittoria, proporre un personaggio nuovo potrebbe per una volta far vincere Davide contro Golia…. E’ già capitato nella storia!

USI E FINI
Rimaniamo in campo cinematografico ed in particolare alle pellicole con protagonisti dei soggetti omosessuali.
Secondo Bettetini e Fumagalli (G. Bettetini – A. Fumagalli: “Quel che resta dei media” Angeli, 1998), dietro la produzione ed il successo del film “Philadelphia”10, ci sarebbe la potente lobby gay americana che sovvenzionerebbe alcuni film, show tv ed altri media per imporre (o far accettare? n.d.a.) il modo di vita gay al numero più elevato di persone11.
Ora non ho una conoscenza così approfondita della cultura americana per negare o condividere la dietrologia fatta sulle ragioni che hanno portato alla produzione di Philadelphia, ma che sia vero o meno, reputiamo che il videogioco ancora più del cinema possa essere un ottimo strumento di
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10: Dal sito “1999: Allarme ad Hollywood” ecco una breve recensione: “Giovane e brillante avvocato viene licenziato (ufficialmente) per inefficienza, in realtà perché gay e malato di AIDS, due caratteristiche non in sintonia con l'ambiente conservatore in cui lavora. Con l'aiuto di un avvocato di colore farà causa ai suoi superiori, mentre il male lentamente lo consuma.
Film che cavalca temi forti (cioè di facile presa sul pubblico), ma lo fa assennatamente, senza cadere nel patetico. Politicamente corretto ma non stupido, ben costruito ma comunque intrinsecamente hollywoodiano. (…) SCENA CULT: le reazioni dell'avvocato quando scopre che il suo cliente ha l'AIDS. Due oscar: a T. Hanks, attore protagonista e a B. Springsteen per la canzone "Streets of Philadelphia".
11: Tesi ampiamente confermata da Alfonso Iuliano che nel sito Tempi Moderni riguardo In & Out (altro film con protagonista un professore gay) scrive: “Sembra, insomma, che le lobby gay anche a Hollywood abbiano acquisito un certo potere, e oggi vige ormai la rappresentazione dell'omosessuale come persona più sensibile della media, in lotta contro l'ipocrisia della società e destinato comunque vada ad essere felice. Pochi anni fa, come sappiamo, gli omosessuali sullo schermo erano al contrario sempre depressi se non prossimi al suicidio, ergo delle figure grottesche. In entrambi i casi tutto sembra abbastanza stupido, meramente consolatorio per gli uni o per gli altri e probabilmente rappresenterà tra qualche anno un capitolo, forse importante, della storia del costume”.
“persuasione”.12
E come per l’accettazione per l’omosessualità, potremmo proseguire con temi quali la tolleranza religiosa o la sua professione, il rispetto verso la natura, la prevenzione sanitaria, l’animalismo, la discriminazione razziale13 ed anche la politica e il proselitismo ideologico in senso stretto.
Annotiamo come durante la seconda metà degli anni ’80, dalla Germania iniziarono a circolare tramite canali clandestini, alcuni videogiochi neo-nazisti14: oltre a finire sulle pagine di giornali e nei servizi dei TG, entrarono in migliaia di case d’Europa con una non indifferente cassa di risonanza per i gruppi nostalgici del terzo reich e ricordo inoltre come i giochi fossero anche di pessima fattura tecnica, il tutto realizzato con poche centinaia di byte di codice di programmazione.
Come per la scelta dei personaggi, anche in questo caso qualcuno potrebbe portare motivazioni economiche al perché del non uso “propagandistico” e “persuasivo” del videogioco.
Oltre alle risposte che abbiamo già dato per il primo punto, abbiamo questa volta maggiori supporti alla nostra teoria.
Vicino alle già citate piccole e grandi software house, in questo caso potrebbero entrare in scena anche gli “artigiani” di “patch” e “mod” per realizzare prodotti a sé oppure costruire sopra a qualcosa di già esistente15.
Inoltre, i finanziamenti potrebbero arrivare non solo da privati ma anche da
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12: Noi ci auguriamo per fini nobili e degni ma poi un medium può essere un’arma/strumento nelle mani di qualsiasi persona capace di sfruttarne le potenzialità.
13: In questo caso, i videogiochi non possono essere accusati di razzismo (se non quei 2-3 titoli neo-nazisti di cui parleremo fra qualche riga) perché ci sono protagonisti provenienti da ogni parte del mondo ma in nessun caso è stato affrontato l’argomento della discriminazione.
14: I più noti si scagliavano senza nessuna esitazione contro turchi ed ebrei.
15: Un po’ come l’inventio medioevale, il “venire sopra” di coloro che nei monasteri creavano nuovi manoscritti di grandi opere e che mettevano qualcosa di loro nella trascrizione.
enti, istituzioni, associazioni, gruppi politici, sociali e culturali interessati ad autopromuoversi con un mezzo che, già in precedenza abbiamo affermato, viene considerato fortemente suggestivo.
Non mancano esempi recentissimi delle prime sperimentazioni di questo genere: aspettate solo qualche pagina, ne riparleremo verso la fine del nostro “viaggio”.

3
”PRIMA DI USCIRE, DEVI TERMINARE IL LIVELLO DI PETRARCA E FARE I PRIMI SCHEMI DI PASCOLI”
IMPARARE GIOCANDO: EDUTAINMENT & VIDEOGAMES


Esistono già molti titoli di edutainment, ovvero programmi a metà strada fra l’educativo e l’intrattenimento ma questi “ibridi”, oltre a rivolgersi quasi esclusivamente ai giovanissimi (6-10 anni), non si spingono molto in avanti sia nella parte istruttiva che in quella ludica.
Ed invece, per la capacità seduttiva del videogioco, reputo che questo potrebbe essere il miglior mezzo per apprendere certi tipi di studi.
Vi propongo il seguente esempio.
Vista anche la vicinanza geografica con Recanati, proviamo ad immaginare insieme un’avventura 3D ambientata nella casa di Giacomo Leopardi.
Dopo un lungo filmato introduttivo che ci mostra le scene topiche della triste vita del poeta, troviamo il nostro alter ego in visita all’abitazione recanatese. Mentre la guida ci racconta a sufficienza tutto il background dell’esistenza del Leopardi, improvvisamente si spengono tutte le luci, inizia a soffiare un vento gelido da una fonte misteriosa. La guida e gli altri visitatori scappano in preda al panico mentre voi (o almeno il protagonista sul monitor) mantenete il sangue freddo, anzi siete così incuriositi da voler capire cosa stia accadendo. Iniziando ad esplorare le stanze della casa, troverete degli indizi sulle strane vicende in cui siete oramai coinvolti, oltre a degli oggetti “immateriali”: non sono altro che le poesie di “Giacomo L.”
Una suadente voce sarà sempre disponibile a rileggerle ogni volta che vorremmo visto che le potremo portare con noi16.
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16: Se quest’avventura sarà veramente realizzata troveremo anche uno stratagemma per far portare ad un individuo degli oggetti immateriali
Proseguendo nel nostro cammino, impareremo a conoscere altre vicende meno note del poeta e in un turbinio di colpi di scena ed enigmi da decifrare, ci troveremo di fronte al fantasma di Leopardi tornato in questo mondo per suoi motivi personali.
Sono pronto a fare un sondaggio in qualsiasi scuola superiore d’Italia: ritengo che alla domanda sulla preferenza fra studiare Leopardi con il tradizionale libro o con un videogioco sulla falsariga della struttura che abbiamo precedentemente presentato ed in grado di essere uno strumento altrettanto valido di studio con tutti gli elementi indispensabili del
programma didattico, ci sarebbe un plebiscito a favore della forma videoludica.
Spostiamoci nel campo delle arti figurative.
Esistono svariate collane dedicate a decine di pittori ma l’evoluzione di questi titoli è stata piuttosto limitata. Di fronte al tipico ipertesto, potremo scegliere di vedere le immagini, forse potremo ascoltare o leggere dei commenti, saperne di più sulla vita dell’autore e se saremo fortunati potremo trovare qualche motore grafico in grado di farci vedere l’opera in tre dimensioni.
Non vogliamo in nessun modo sottovalutare il lavoro di chi compie queste opere però, in questa forma, reputiamo che l’interesse ai titoli d’arte sarà limitato a chi se ne interessava già in precedenza anche senza cd-rom o a quei soggetti, come già accade a volte per i libri, che useranno intere uscite del genere solo per una semplice esibizione di cultura o come arredamento.
Anche in questo caso vi presento una proposta concreta.
Immaginiamoci di realizzare un titolo dedicato a Guernica di Pablo Picasso, l’opera del pittore di Malaga sul bombardamento nazista effettuato in pieno giorno nella città dei Paesi Baschi nel 1937 durante la guerra civile spagnola.
Nella costruzione del nostro “videogioco”, oltre ad avere a disposizione gli elementi tradizionali per questo genere, potremmo muovere un personaggio immerso nella riproposizione del quadro in 3D e a seconda del punto che sceglierà, Guernica diverrà viva, durante il mercato prima del bombardamento e potremmo vedere “scene” diverse17:

Esempio Scena 1
Nella metà di sinistra tutto è orrore, morte, disperazione. Il toro, simbolo della brutalità, è impassibile e trionfante, vincitore sull’uomo, che è simboleggiato dalla testa spezzata della statua, come se si trattasse di una corrida al contrario. Il cavallo è il popolo che trafitto e colpito a morte si contorce per il dolore. Una mano stringe inutilmente una spada che è spezzata, cioè inservibile contro i tedeschi. Una madre grida il proprio dolore straziante e abbraccia il figlio morto.
Esempio Scena 2
Nella metà di destra una donna fugge da una casa in fiamme e altre donne implorano che sorga una nuova luce, vera non artificiale che possa far rinascere un fiore che appassisce accanto alla spada.
I simboli del reale si trasformeranno nei propri referenti attraverso il nostro movimento e potremo “rivivere” le parti del quadro anche parlando con i protagonisti delle scene, farci raccontare le loro sensazioni, provare a scappare, essere insomma anche noi protagonisti del massacro di Guernica.
Picasso ha scritto:
"Io sono fiero di dirlo, non ho mai considerato la pittura come un’arte di
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17: La descrizione del quadro è presa dal sito www.bdp.it
puro piacere, di distrazione. Io ho voluto con il disegno e col colore, dato che sono le mie armi, penetrare sempre più nella coscienza degli uomini e del mondo, affinché questa coscienza ci liberi ogni giorno di più.
Io ho sempre cercato di dire alla mia maniera ciò che desideravo essere il più giusto, il meglio, che poi naturalmente era sempre il più bello, come i grandi pittori sanno bene. Sì, io ho la coscienza di aver sempre lottato da vero rivoluzionario con la mia pittura, ma ora ho capito che neppure ciò può bastare. Questi anni di oppressione terribile mi hanno dimostrato che io devo combattere non soltanto con tutta le mia arte ma anche con tutto me stesso".

Credo che anche il grande artista spagnolo avrebbe apprezzato l’idea di amplificare le sensazioni che riuscì ad esprimere nel suo capolavoro con nuove tecnologie fortemente suggestive, oggi a disposizione di tanti.
Vi proponiamo l’ultimo esempio, sempre nel campo dell’arte, per un nuovo modo di sfruttare tecniche e linguaggi del videogaming per imparare.
Questa volta siamo nel Duomo di Milano, perfettamente ricostruito con un motore grafico 3D di media potenza per gli standard attuali.
Scegliete voi il protagonista, la trama, la sceneggiatura ed il modo di gioco, l’importante è che per proseguire nel nostro cammino, dovremo esplorare in maniera approfondita interni ed esterni del monumento, vederne i particolari più importanti sotto un profilo artistico e “cammin facendo” conoscerne tutti segreti. Qualche ora di gioco, e conoscerete il Duomo di Milano alla perfezione.
Leopardi, Picasso ed il Duomo di Milano: abbiamo scelto questi tre soggetti, ma con un piccolo sforzo intellettuale potete compiere la stessa operazione creativa con svariate decine di argomenti di studio.
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Re: Storia ed evoluzione dei videogiochi

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INVASION 2
IL VIDEOGAMING IN NUOVI CONTESTI COMUNICATIVI

Lo abbiamo già affermato in precedenza: anche dopo tanti anni di videogaming, la sua fascia di utenza predominante è quella giovanile mentre gli “over 30” sono una nicchia di mercato piuttosto limitata almeno per quanto riguarda il mercato europeo.
Eppure, se torniamo indietro di soli 10 anni, possiamo affermare che l’intrattenimento elettronico si sia modificato ed ampliato nelle forme e nei contenuti a tal punto che, se pur il processo è ancora in atto, il mercato presenta oggi molti titoli che potrebbero soddisfare un pubblico più maturo rispetto a quello attuale.
Ma questo allargamento dell’utenza21 riguarda oggi solo una sparuta minoranza di “avanguardisti”.
Molte delle ragioni per cui ciò non sia ancora avvenuto (pregiudizi, processo di cambiamento del videogaming ancora non completo) sono state già spiegate.
Ci è sembrato però opportuno aggiungere a questi elementi, un altro importante fattore.
Mi sto riferendo alla diffusione di conoscenza dei videogiochi nell’industria mass mediatica.
Oggi, riguardo la situazione italiana che però non differisce di molto da quella delle altre nazioni dell’Europa Occidentale, l’informazione videoludica è principalmente veicolata da mensili cartacei e siti Internet specializzati in cui abbiamo a disposizione veramente un’ampia gamma di news, anteprime, anticipazioni, interviste e quant’altro si voglia sapere
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21: Comunque non solo generazionale. Torneremo in seguito ad esempio sulla questione “videogiochi – donna”.
sull’intrattenimento videoludico.
Il fatto però è che l’utenza ed i lettori di questi contenuti sono sempre persone già appassionate di videogiochi. L’informazione specializzata, in ogni campo, difficilmente può giungere ai possibili neofiti del settore.
I primi segni di un cambiamento di rotta però si possono osservare in alcuni dei quotidiani a grande tiratura nazionale come il Corriere della Sera, la Stampa, Repubblica (in particolare il suo inserto del Venerdi con articoli molto interessanti e che trattano l’argomento sotto un ottica nuova) e le testate Monrif (la Nazione, il Resto del Carlino, il Giorno).
Ma dove i videogiochi non sono riusciti a ritagliarsi neppure un piccolo angolo di spazio è sicuramente dalla “regina” televisione.
I pochi servizi che raramente possiamo vedere nei TG sono quasi sempre legati all’argomento “trito e ritrito” della violenza o delle crisi epilettiche
presumibilmente causate dai videogiochi stessi.
E sorprende, come invece accade solitamente per film, libri, e dischi (anche per le più bieche operazioni commerciali) che siano eventi più unici che rari i minuti dedicati alle nuove uscite nel campo dell’intrattenimento elettronico e da ciò che siamo venuti a conoscenza, ottenuti con un difficile lavoro da parte degli uffici stampa delle software house che devono letteralmente inventare legami piuttosto labili con film ed altro materiale più “tipico” per i telegiornali. Ci chiediamo se forse qualcosa potrà cambiare con l’entrata del colosso Microsoft nel mondo delle console: almeno un evento del genere potrà calamitare un certo interesse da parte dei media generalisti?
Situazione ancora peggiore è quella dei talk show o dei programmi di approfondimento.
Prendiamo come esempio uno dei più seguiti, il “Maurizio Costanzo Show”. Visto che sono piuttosto di casa nello studio del Parioli di Roma, autori di libri, film e canzoni, ci chiediamo perché non sarebbe possibile far intervenire i game designers dei titoli di maggior richiamo tra le ultime uscite che non reputo avrebbero troppe difficoltà a presentare il loro lavoro ad una platea più vasta rispetto al solito. Quello che ancora mi chiedo, più in generale, è se i responsabili dell’immagine di software house e distributori valorizzino al meglio il loro potenziale a disposizione. Per essere più specifici, nelle pagine comprate sulle riviste, nei materiali da esporre nelle vetrine, nei cartelloni affissi, tranne rarissime eccezioni, tutto sembra ad esclusivo appannaggio del ragazzo sui 15/25 anni, a cui vengono proposti, a seconda dei casi, riferimenti sessuali, prove di forza, coraggio o velocità. Insomma: tutti gli input tipici e stereotipati per attrarre i teenagers della X Generation. Quindi si viene a formare un altro terribile circolo vizioso: l’immagine che danno i produttori dei videogiochi è quella appena descritta, i media li recepiscono nella maniera con cui si presentano e quindi non se ne occupano e l’utenza più adulta senza nessun input non può cambiare e allora visto che quest’ultima non cambia, non ci saranno neppure tentativi di costruire una nuova “facciata” all’industria del videogaming.
…E pur si muove: ci riferiamo alla comunicazione pubblicitaria del distributore Cidiverte per lanciare l’uscita sul mercato del proprio titolo di punta chiamato Max Payne (di cui riparleremo in seguito). A posto di puntare sulla tipica pagina pubblicitaria, la compagnia ha preferito una grafica piuttosto scarna in stile rotocalchi degli anni ’80 ma con la presenza di un articolo che, se pur con toni trionfalistici e semplicistici, dà un’immagine abbastanza profonda ed interessante del prodotto22 tale da renderlo forse più appetibile a pubblici nuovi.
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22: Ci sembrava utile proporvi nelle prossime pagine, oltre a Max Payne anche alcune delle pagine pubblicitarie tipiche di cui vi abbiamo parlato in precedenza.
L’industria dei videogiochi anche in Italia oramai produce un fatturato importante e notizie come l’acquisizione da parte del distributore CTO di una software house europea dimostra che, pur se a piccoli passi, anche nel nostro paese la situazione si sta evolvendo.
Penso che presto ci saranno quindi maggiori margini di manovra strutturale per arrivare nel complesso e variegato circuito dell’informazione e dell’ intrattenimento generalista allo stesso tempo dato a libri, film e musica anche al videogioco. Pur se qualcuno giustamente mette in dubbio la forza attuale della TV via etere, rimane comunque numericamente il mezzo più seguito, in particolare da quella utenza più restia al videogioco.
Forse gli effetti non saranno riscontrabili nel breve periodo ma potrebbe anche diventare una svolta epocale per il videogioco essere ospitato, o se preferite “invadere”, “mamma TV”.
Abbiamo parlato di riviste specializzate che offrono dei contenuti piuttosto importanti che, fra recensioni e notizie in anteprima, non si risparmiano anche ad offrire delle riflessioni veramente interessanti (e a cui molto devono queste pagine).
Ma non possiamo nasconderci però che tutti i magazine del settore, almeno in Italia, fondino la propria linea editoriale sull’essere dedicato a particolari macchine (PC, console, Playstation, X-Box, Dreamcast etc) e non sul fenomeno videogame in assoluto.
Immaginate se nel cinema ci fossero stati vari “hardware” per la visione di un film e in edicola, per farvi un’idea generale delle pellicole in uscita e riflessioni su di esse, non sarebbe stato sufficiente comprare una sola testata.
Questo è quello che accade nel mondo dell’editoria dedicata ai videogiochi e ci chiediamo perché nessuno non provi a lanciare sul mercato un mensile che si occupi del fenomeno a 360° sotto un punto di vista culturale ed artistico, con i migliori titoli in uscita senza fare distinzioni sulla piattaforma su cui girano.
Sempre in parallelo al cinema, ci sembra che tutta l’editoria sul videogaming assomigli troppo al mensile Ciak e che nessuno abbia mai provato (o comunque ancora non troppo) un approccio che ricalchi le orme di Duel: se pur con una tiratura minore, ha dalla sua una vasta schiera di fedeli lettori che dimostrano di gradire un’impostazione per così dire meno “commerciale - di massa” e maggiormente d’approfondimento.
Crediamo che un “Duel dei videogiochi” avrebbe dalla sua una nicchia sufficiente di lettori per garantire all’ipotetico editore una buona riuscita dell’impresa anche in termini economici.

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IL VIDEOGIOCO E’ MASCHIO?
Siamo ancora in tempi che quando una donna partecipa al motomondiale o a qualche campionato automobilistico, i media e la curiosità di tanti vogliono sapere come mai una rappresentante del “gentil sesso” voglia cimentarsi in competizioni tipicamente maschili.
Il fenomeno è simile, pur senza i riflettori dei media, nel mondo dei videogiochi, da sempre a quasi esclusivo appannaggio degli uomini.
Chiediamocelo subito: perché?
E soprattutto perché però ci sono stati poi alcuni titoli (mi riferisco in particolare a Pac Man, il suo clone Lady Bug23, Frogger24, Q-Bert25, Tetris, Puzzle Bubble ed in tempi più recenti The Sims) che si rivelano essere giocati maggiormente dalle ragazze?
La risposta al nostro quesito l’hanno già data altri, in particolare Barbara Lanza, progettista di giochi e teorica delle questioni di genere sessuale intervistata da J.C. Herz, anche lei donna, nel suo “Il Popolo Del Joystick”, ed Andrea Salvi sulle pagine del mensile Duel da cui riporto nella pagina seguente l’intero articolo poiché sarebbe un’operazione difficile affrontare il tema in modo migliore e completo.

VIDEOGIOCATRICI: I videogiochi non piacciono alle donne?
Nel 2000, solo in Europa, sono stati venduti 64 milioni di videogiochi per console e 97 milioni per PC, per un totale delle vendite di oltre sei miliardi di dollari. Con l’avvento delle nuove console a 128 bit (che sulla carta sono 4 volte più potenti della vecchia Playstation), i videogiochi sembrano destinati a sostituire definitivamente il cinema come principale strumento di narrazione audiovisiva. Eppure, i videogiochi non saranno davvero maturi finchè non avranno conquistato la parte femminile del mercato, che finora è stata spesso delusa dai prodotti offerti. Una delle ragioni che si adducono per questa disaffezione è la violenza dei videogiochi. Tuttavia, questo argomento non regge se si considera che la violenza nei film, per esempio, è fruita ed accettata dal pubblico femminile come da quello maschile. Certo, vi sono generi tradizionalmente maschili, come il western, i film di guerra e, in generale, tutti i film d’azione, ma nelle sale cinematografiche i due sessi sono rappresentati nella stessa misura.
In realtà, il pubblico femminile non è attirato dai videogiochi “d’azione” non tanto per quello che presentano, ma per ciò che ancora non possono offrire: finora, le azioni di un eroe videoludico si limitano al movimento e alla lotta (anche se in parte negli ultimi tempi le cose stanno cambiando n.d.a.). Lara Croft, protagonista della serie di Tomb Raider è un’atleta straordinaria e un’ottima combattente, e questo, oltre alla provocante bellezza, basta per farla diventare un mito tra i giocatori maschi. Ma non sa fare altro. Se la si osserva da vicino, Lara è una maschera d’inespressività: non soffre, non sorride, non s’arrabbia, non si stupisce. Nel gioco incontra solo armi e avversari, con cui instaura un semplice rapporto amico-nemico, utile-dannoso, usare-eliminare. Così, Lara non è tanto una donna quanto una macchina da guerra, incapace di simulare non solo reazioni complesse come l’odio o l’innamoramento, ma anche i bisogni più comuni come la fame, il sonno o il sesso.
La sessualità di Lara è puramente visiva, asettica, da calendario sexy: abbastanza per scatenare l’universo erotico maschile, ma assolutamente insufficiente per indurre un processo di identificazione nelle donne, che anzi trovano ridicola la crescita esplosiva del suo seno, su di un “vitino” che si fa sempre più smilzo ogni anno.
Al contrario, il gioco di simulazione umana The Sims ha conquistato le videogiocatrici proprio perché, per la prima volta, ha saputo simulare tutte le necessità elementari dell’esistenza umana, come il bisogno di socialità, di divertimento, di igiene.
Per la prima volta, i personaggi di un videogioco guardano la televisione, aprono il frigo, rispondono al telefono. Ma The Sims è anche una straordinaria simulazione, i cui protagonisti si sposano, si baciano, si tradiscono, si riproducono. Il compito del giocatore è permettere ai propri Sims di trovare il proprio equilibrio, indirizzarli verso ciò di cui hanno bisogno, aiutarli a organizzare la propria esistenza. A parte l’originalità del soggetto, The Sims rientra nella categoria di giochi gestionali, dove occorre organizzare e far crescere un organismo complesso (in questo caso, una piccola struttura sociale). E anche questo è particolarmente adatto alle donne, tradizionalmente abituate a gestire, organizzare e risolvere le necessità del proprio nucleo familiare, per mettere sé stesse, i figli e il compagno in condizione di agire nel migliore dei modi. Così si spiega, ad esempio, l’interesse delle donne verso i cosiddetti puzzle game, i rompicapo elettronici come Tetris dove occorre incastrare delle forme geometriche che scendono dall’alto per poterle eliminare dallo schermo. In tutti i puzzle game il principio è separare, incastrare, riunire, insomma ordinare i pezzi di un mosaico in modo che tutto sia perfettamente combaciante. Un lavoro di logica e prontezza di riflessi che non contrappone il giocatore ad alcun nemico se non ai suoi stessi limiti, e che al principio di distruzione fisica o simbolica dell’avversario sostituisce quello della costruzione di un sistema ordinato.
Un altro motivo del successo di The Sims, come riconosce il suo stesso creatore Will Wright, è la presenza tra gli sviluppatori del gioco di una forte percentuale femminile, circa il 40%. E in effetti, anche nell’estrema cura dei particolari, nelle centinaia di diverse carte da parati, tendine e tappeti per decorare la casa, la mano femminile è davvero riconoscibile.
Per concludere, l’aumento del numero di giocatrici femminili richiede la creazione di videogiochi più adatti a loro, di simulazioni più complesse, di personaggi – maschili e femminili – che non conoscano soltanto le arti marziali ma sappiano simulare uno spettro più ampio di azioni e reazioni umane. Per questo sarà molto importante lo sviluppo dei giochi in rete, che già oggi permettono di collaborare e comunicare con gli avatar di giocatori collegati da tutto il mondo.
Finora, molti videogiochi sanno simulare alla perfezione soltanto la guerra vera o simbolica, ma le videogiocatrici pretendono molto di più.
Ad integrazione dell’articolo di Andrea Salvi, citiamo Barbara Lanza che afferma: “A dispetto di tutti i dibattiti sulla correttezza politica, i ragazzi e le ragazze non sono affatto uguali, specialmente quando sono piccoli. Possono diventare più simili crescendo, ma quando sono giovani, non sono uguali in nulla. Cercano cose diverse. Le ragazze vogliono esperienze, i ragazzi cercano qualcosa da imparare, cosa che richiede perseveranza (…) Che diavolo mai avrà fatto Ms Pac-Man che altri giochi del periodo non facevano? Prima di tutto il fatto che si chiamasse Ms Pac-Man era importantissimo. Regola numero uno: se vendi alle ragazze, accertati che sia evidente a chi ti stai rivolgendo. Sono altamente socializzate. Hanno bisogno di permessi. Una delle cose forti di Ms Pac-Man era che fin dall’inizio ti diceva: è un gioco femminile. Ora, a parte il fatto che fosse stato etichettato come per ragazze, Ms Pac-Man ha una strategia di gioco molto interessante. Notiamo che nulla ci spara addosso. Questo è estremamente importante: il fatto che non si è bersagli. Questo permette di girare e di pensare a quello che si vuol fare. E’ possibile fare una pausa e progettare un’altra strategia, perché non si stanno scansando oggetti che cadono, perché nessuno ci spara. Essere in grado di andare avanti, indietro, a destra e a sinistra era estremamente importante. Vedi, in un gioco tipico a scorrimento orizzontale, è necessario spostarsi da sinistra verso destra. Ci si può ritirare se lo si vuole, ma la cosa non fa avanzare nella partita.
Non fa parte della strategia base. Ritirarsi, per una femmina, è come respirare. Siamo abituate all’idea di poter vincere cedendo terreno. Ci infiliamo in una situazione che appare troppo stretta, ci ritiriamo, ci giriamo indietro e poi troviamo un’altra maniera per attaccarla. Si può aggirarla. Si può evitarla. Si può battere in ritirata. Non è indispensabile andare sempre avanti a tutta forza. Ma troppo spesso, nei giochi classici al computer, è tutto quello che viene permesso. Devi fare a modo loro. Ms Pac-Man funziona perché è possibile ritirarsi. Puoi arrivare alle spalle dei tuoi avversari. Siamo bravissime a prendere alle spalle.
Questi sono i veri punti forti di Ms Pac – Man: il potersi ritirare, il fatto che nulla ti spara addosso, e il poter aggredire il nemico da dietro. Ma è ugualmente possibile andare a prenderlo. Essere inseguiti non è la stessa cosa che essere presi a revolverate. Essere inseguiti può essere eccitante. Farsi sparare addosso può essere una cosa irritante”.
J.C. Herz invece scrive: “Non è che le donne siano avverse alla violenza in sé e per sé. Quando la cosa viene presentata nella maniera giusta, può essere veramente attraente, valga l’attuale mania femminile per le pistole, la kickboxe e Virtua Cop. Ma schiacciare il pulsante del fuoco 380 volte al minuto non è proprio l’idea che una dodicenne ha del divertimento.
Il problema, dato che i progettisti di giochi sono in maggioranza maschi, è che non riescono a immaginare cosa voglia una ragazza da un videogioco. Anche se, a un certo punto una delle maggiori aziende di videogiochi giapponesi o della Silicon Valley decide di corteggiare le aspiranti giocatrici, è dubbio che un branco di maschi che ha passato la vita con un joystick in mano saprebbe progettare qualcosa che faccia breccia nella mente di una quattordicenne. Ed è dubbio anche solo supporre che ci proverebbero… non si tratta del tipico progetto intrigante che tradizionalmente attrae i progettisti di grido. Rivolgersi ai ragazzi è più divertente. Le aziende produttrici sono bravissime e la cosa rende bene. E non hanno nessuna voglia di incasinare una formula vincente.
L’approccio dell’industria è motivato da due cose: la paura e il desiderio. Ci sono un mucchio di soldi da fare se si riescono a vendere giochi alla ragazze. Dall’altro lato, c’è la paura di sviluppare giochi per loro. Perché se si costruisce un gioco che abbia l’aria di essere troppo condiscendente verso le ragazze, i ragazzi lo butteranno in un secondo come una patata bollente, perché non vogliono che le ragazze giochino”.
Infine Justine Cassell, psicologa cognitiva al Media Lab del Mit, aggiunge che “i giovanissimi di entrambi i sessi iniziano a fare generalizzazioni di genere sessuale a tappeto dal momento in cui riescono a pronunciare la parola “pappa”, a tre anni i bambini danno già connotazioni sessuali ai giochi e agli oggetti di uso domestico come scope o martelli. Questi stereotipi di genere sono piuttosto stabili, e sappiamo che è possibile ottenere una simile stereotipizzazione per gli oggetti, le professioni, i tratti somatici… possono fare tutto questo per quando hanno 5 anni. Sappiamo che le ragazze che desiderano essere “ragazze-ragazze” si mantengono lontane dalle attività aggressive perché altrimenti tradirebbero il proprio genere.
Riguardo il tipo di gioco che potrebbe attirare le ragazze senza renderle traditrici dell’idea prepubescente della femminilità, c’è consenso (tra chi non fabbrica videogiochi) sul fatto che la narrativa sia un elemento chiave nel divertimento tra le ragazze.
Ci sono drammatiste e modelliste. Modelliste sono quelle persone che godono dei numeri in sé o del mettere assieme i pezzi di un rompicapo e i drammatisti sono persone che godono del raccontare storie. Anche i giocattoli tecnologici possono essere divisi in giocattoli a modello e drammatici. Alle ragazze piacciono i giocattoli drammatici, piace raccontare storie. Racconterebbero storie su tutto. Mi ricordo un compito di biologia, in quinta elementare, sull’idrogeno e l’ossigeno che si innamoravano e mettevano su casa assieme. Ed è un approccio alla scienza molto comune, tra le ragazze.”
A livello concettuale reputo che gli interventi citati siano sufficienti per un quadro dell’ancora difficile rapporto videogiochi-donne.
Mi permetto di aggiungere come questo aspetto, più degli altri, abbia un valore fondamentale per uno sviluppo più diversificato e nuovo del videogioco. La conquista dell’altra metà del cielo significherebbe in primo luogo la possibilità di raddoppiare l’utenza attuale ed è facile immaginarsi la nascita di una spirale positiva di influenza tra ragazzo-ragazza, marito-moglie, fratello-sorella: ovvero, come accade in altri campi sarebbe più facile trasportare l’entusiasmo all’altro della propria passione a patto che ci siano forme di videogioco maggiormente apprezzabili dall’attitudine femminile. Ed è possibile prevedere inoltre che tutto questo avvicini anche donne e ragazze al diventare progettiste e realizzatrici di videogiochi, la cui logica conseguenza sarebbe una ulteriore maggiore diversificazione delle opere. Immaginarsi quindi i videogiochi più rosa è il punto di primaria importanza per farli crescere in contenuti e forme.
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SVILUPPO TECNOLOGICO SENSORIALE
Non c’è più spazio nel monitor.
Con questa frase ho voluto sintetizzare il pensiero di molti riguardo quello che potrà essere il futuro dei videogiochi: non c’è più spazio nel monitor significa che le potenzialità audiovisive sono oramai ai limiti di ciò che l’uomo può percepire. Effettivamente vanno sempre ad aumentare i numeri di colori disponibili su schermo o dei fotogrammi che possono essere proposti durante un solo secondo ma a volte ci scordiamo che la percezione umana ha delle limitazioni ben precise e che difficilmente potranno mutare (sempre che non arrivi l’ingegneria genetica ma questo è un altro discorso).
Ma il rapporto uomo-macchina è ancora limitato a soli due sensi26 e neppure pienamente sfruttati: l’affermazione appena fatta non è in contraddizione con la precedente poiché lo sviluppo massimo possibile da percepire è riferito alla periferica schermo e non alle potenzialità dell’occhio umano.
Sono già stati fatti in quest’ultimo decennio alcuni esperimenti di applicare la realtà virtuale27 anche al mondo dei videogiochi.
Si sono visti negli anni varie periferiche come “Techno-caschetti” e “Cyber-occhialini” che avrebbero permesso di rendere virtuale l’intero
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26: Il tatto viene usato solo a scopo strumentale anche se ci sono i primi dispositivi, a dire il vero ancora poco sviluppati, che provocano il force-feedback ovvero delle forme di vibrazione dell’interfaccia gioco che dovrebbero simulare alcuni situazioni come potrebbe essere in un simulatore automobilistico prendere una buca o andare fuori strada. Anche se la sensazione può piacevolmente divertire siamo molto lontani anche ad una minima sensazione di reale o comunque di complessità. Potremo accostare più facilmente invece il force-feedback alle sensazioni tipiche del Luna Park.
27: Francesco Anticucci scrive: “La realtà virtuale consiste in un programma per permettere ad un utente qualsiasi di avere l'impressione di stare in un ambiente, quindi di poterlo osservare, spettro visivo umano, facendo quindi entrare l’utente in un vero mondo artificiale.
Ma dopo l’entusiasmo iniziale, questi percorsi sono andati esaurendosi sia per poco software in grado di sfruttare queste interfacce, sia per gli alti costi di questi accessori che anche nel corso di anni non sono scesi.
Ignoriamo le ragioni strutturali per cui a differenza di tutti gli altri campi della tecnologia dove nel giro di pochi mesi inizia una caduta senza fine dei prezzi fino al momento di un nuovo modello che ripartirà da cifre elevate per poi scendere alla stessa velocità, ciò non sia avvenuto.
A questo punto, per ogni senso umano, farò un piccolo sunto su ciò che già oggi abbiamo a disposizione e qualche mia idea (peraltro solo teorica, senza nessun ragionamento progettuale) su tutto quello che potrebbe fare maggiormente la gioia dei videogiocatori.
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percorrere senza che questo ambiente esista. L'impressione deve essere il più reale possibile, deve essere il più vicina possibile alla realtà. Come si ottiene questo? Si ottiene modellando l'ambiente in un computer con i modi che conosciamo della computer grafica esattamente in tre dimensioni; successivamente interviene il programma di realtà virtuale. Il programma di realtà virtuale consiste nel permettere di prendere un punto di vista interno all'ambiente e di cambiarlo istantaneamente, di aggiornarlo istantaneamente. Con questo programma io posso fare sentire l'utente immerso nell'ambiente, perché se l'utente si muove, sposta lo sguardo, il computer gli rimanda istantaneamente la vista dell'ambiente corrispondente a questa sua nuova posizione. Perché si possa fare questo però bisogna che il computer, in qualche modo, sia in grado di generare la vista di questo ambiente in un tempo brevissimo, perché se io mi sposto, il punto di vista deve essere quello nuovo; il tempo tecnicamente richiesto è come quello del cinema: meno di un quindicesimo di secondo. Se dispongo di un computer grafico che è capace di ricostruire il modello in meno di un quindicesimo di secondo ho le condizioni per la realtà virtuale. La realtà virtuale è composta anche di mezzi per trasmettere l'idea di esservi dentro, mezzi che noi chiamiamo 'immersivi': il casco, un paio di occhialoni e così via. Tutti questi sistemi permettono di far sentire la scena più vicina al nostro sguardo, ma il cuore della realtà virtuale è la capacità di aggiornare il disegno grafico molto molto rapidamente”.

UDITO
La tecnologia più nuova in questo campo si chiama 5+1, ovvero la possibilità di avere un impianto formato da 6 casse, 4 “surround” (2 avanti e 2 dietro), una centrale ed una per le basse frequenze, che possono emettere suono diversificati: così ad esempio se un personaggio nel videogioco (o in un film) si sta avvicinando a noi da dietro, sentiremo i suoi passi solo dalle casse alle nostre spalle.
Il sistema 5+1 viene anche adottato dai film in DVD ed è uno standard comunque in evoluzione che già oggi soddisfa ampiamente esigenti cinefili e videogiocatori.
La mia idea sullo sviluppo della tecnologia surround 5+1 è molto semplice, ovvero aumentare il numero delle casse in grado di emettere suoni differenziati.
Mi immagino un 9+1 arricchito da due casse laterali, una sopra la testa e l’ultima proveniente dal pavimento (su cui comunque già oggi poggia il subwoofer) in grado di rendere l’esperienza sonora ancora più ampia rispetto ad oggi.
Il problema di questo ipotetico 9+1 potrebbe essere dato dalla necessità di uno spazio adeguato per tutte le casse ed i relativi accessori per poterli piazzare nel modo giusto ma reputo che sarebbero in molti a trovare una soluzione per un sistema che in teoria può raddoppiare qualità, dinamiche e timbri sonori. Io ancora non l’ho brevettato.

VISTA
Come esposto in precedenza, caschetti ed occhialini in grado di rendere totale l’immagine virtuale percepita dallo spettro visivo già esistono. Il problema è il costo proibitivo di queste periferiche ed il fatto che pochissimo software d’intrattenimento potrebbe funzionare, per ora, con tali apparecchi.
Ma il cambiamento della prospettiva di gioco sarebbe veramente epocale.
Oggi, anche di fronte al più bel monitor ad alta definizione o ad un maestoso televisore al plasma da 42 pollici, non siamo ancora videogiocatori, siamo videogiocatori-spettatori. Il fatto è che per quanto ci possiamo chiudere in una stanza buia cercando di non vedere nessun oggetto al di fuori del monitor e con tutta la fantasia a nostra disposizione per immedesimarci nell’esperienza virtuale, la percezione esclusivamente anteriore non potrà mai dare luogo ad una vera esperienza in cui siamo esclusivamente attori e non spettatori.
Si creano anche situazioni di interfaccia utente-macchina piuttosto particolari: pensiamo ad esempio nei tipici giochi in soggettiva dove in fin dei conti spostiamo i nostri occhi virtuali con il mouse cambiando prospettiva al nostro alter ego.
Ma per quanto si possano sforzare i programmatori, miracoli non se ne potranno fare. Solo nuovi collegamenti tra uomo e macchina potranno portare a nuove esperienze di gioco (tralasciando tutte le altre possibilità di applicazione) che oggi riusciamo solo ad immaginare con la nostra fantasia o con quella di alcuni autori di letteratura fantascientifica.
Bisogna solo augurarsi che un altro circolo “vizioso” (alto costo hardware – poca diffusione – poco software oppure l’esatto contrario) sia infranto da qualche soggetto sul mercato o da una joint-venture fra produttori delle varie parti che costituiscono l’asse di questa nuova prospettiva.

GUSTO-OLFATTO
Ho deciso di coniugare questi due sensi poiché forse, ai fini del nostro discorso, sono i meno importanti (in particolare il gusto) ma non per questo inutili.
Partiamo dal fatto che indubbiamente, dopo che già tutti gli altri sensi sono stati ben stimolati, ci sembrerebbe veramente un peccato non poter respirare l’aria del contesto in cui siamo nella nostra esperienza videoludica: in una foresta o in montagna, in praterie desolate o nel deserto.
A pensarci bene potremmo anche trovarci nelle fogne di una città o in una grande metropoli futuristica dall’aria irrespirabile ma non vi preoccupate: avremo la possibilità di scegliere quanto forte potrà essere la sensazione dell’odore.
Forse qualcuno penserà che ci stiamo riferendo ad un puro progetto teorico.
Non è così: nel giugno 2001 è stato portato a termine il primo esperimento di comunicazione olfattiva a distanza tra due macchine.
E’ successo all’Università di Tor Vergata a Roma, dove nel laboratorio del Cnr due “nasi elettronici” hanno condiviso i piacevoli odori della pizza napoletana.
Dei sensori ricostruiscono una sorta di immagine olfattiva per cui le informazioni captate dalla macchina emittente sono inviate e riconosciute da quella ricevente.
Variando di frequenza a seconda del segnale ricevuto, gli 8 sensori di cui è dotato il naso artificiale equivalgono ai recettori del bulbo olfattivo e sono in grado di creare una mappa degli odori analoga a quella naturale.
Si parla di applicazioni nel campo della medicina e della telemedicina, dove potrebbero apportare un contributo come strumenti non invasivi per la diagnosi di alcune malattie.
Altro campo d’interesse potrebbe potrà essere il settore dei controlli ambientali, laddove si necessiti valutare i livelli d’inquinamento olfattivo.
Sembra che il naso artificiale sia anche in grado di smascherare alla perfezione un olio di sansa che si spacci come olio d’oliva e un pesce conservato in frigo da uno fresco di pesca.
A questo punto immaginarsi una periferica in grado di emettere gli odori programmati per il “naso elettronico” tramite il mescolamento delle varie sostanze chimiche che fanno parte di ciò che si può respirare nel nostro mondo equivarrebbe molto similmente a ciò che oggi accade con le stampanti in cui a seconda delle tonalità delle immagini che abbiamo deciso di mettere su carta, vengono miscelati parti dei colori di base che creano le tantissime possibilità di cromature e toni.
Pensate solamente a che piacere respirare l’aria di montagna o quello del mare, così intriso di salsedine senza muovervi da casa: basta non esagerare perché anche in questo caso dovremo ricaricare con delle cartucce il nostro creatore di odori! Chissà se costeranno meno di quelle per la stampante…

TATTO
E’ sul senso tattile che scienza (e fantascienza) sembrano maggiormente attirate e non solo in campo ludico.
Partiamo dall’esistente: andando oltre il videogioco, uno dei maggiori campi di applicazione è stato quello medico.
Attraverso dei sensori alla mano che per semplificare sono definiti guanti virtuali, un chirurgo può operare un paziente anche dall’altre parte del mondo tramite un automa che riceve i comandi e li esegue.
L'operatore vede nello schermo le mani del suo “schiavo” muoversi sul paziente in perfetta sintonia con le sue. Da un amplificatore ascolta i rumori in sala operatoria e sulle sue dita sente l'attrito, l'intensità e la forza della manovra come se fosse lui a eseguirla. Oltre al vantaggio di lavorare su un'immagine ingrandita, il software che controlla i meccanismi del robot cancella le imperfezioni della manovra manuale: il margine di errore della «mano» dell'automa si riduce di un quarto rispetto a quella del più valente chirurgo in carne e ossa.
Contrariamente al robot utilizzato nella chirurgia a distanza, in cui l'uomo si limita semplicemente a dare il comando di avvio, questi robot-schiavi eseguono passo dopo passo le manovre del chirurgo. Si tratta della cosiddetta telemanipolazione.
Anche in campo ludico sono stati realizzati dei guanti virtuali. Nel 1989 la Mattel lanciò sul mercato americano un joystick con la forma di un guanto da indossare, il Power Glove. Questo guanto doveva essere utilizzato per i sistemi NES (Nintendo Entertainment System) della Nintendo. In pratica indossando il guanto i ragazzi potevano giocare con i videogiochi con dei semplici movimenti della mano. L'interesse per il Power Glove andò presto scemando poichè i videogiocatori si accorsero che non era molto comodo utilizzarlo come joystick e che la velocità di controllo era molto lenta rispetto ai sistemi tradizionali. La produzione fu bloccata e ben presto il guanto diventò solo un ricordo. Alcuni appassionati di informatica però, dopo aver analizzato le caratteristiche tecniche del guanto, si accorsero che esso poteva essere collegato molto facilmente ai comuni PC.
Con una semplice interfaccia (in pratica si trattava di un adattamento in tensione dei segnali) essi riuscirono ad interfacciare il PG (Power Glove) al computer e ad iniziare a scrivere dei programmi che utilizzassero tale dispositivo. Il primo vero programma capace di utilizzare a pieno le potenzialita' del guanto e' stato il Rend386, un software di pubblico dominio (ossia distribuito gratuitamente), scritto da Dave Stampe e Bernie Roehl nel 1992. Questo programma permetteva di utilizzare il guanto per manipolare oggetti virtuali presenti in un ambiente sintetico 3D (ossia in tre dimensioni) visualizzato sullo schermo del computer. L'interesse per la faccenda fu enorme e così si iniziò a parlare di Realtà Virtuale a basso costo. Con il Power Glove e' possibile ricostruire la posizione della mano nello spazio e la configurazione delle singole dita. In pratica se muoviamo il guanto nello spazio, il “PG” riesce a ricostruire il movimento tramite dei segnali elettrici. I segnali dei movimenti della mano vengono costruiti tramite delle onde ad ultrasuoni (le stesse utilizzate dai vecchi telecomandi per Tv): in pratica sul guanto sono posizionati due trasmettitori e sul sistema di tracking (un reticolo plastico fornito insieme al PG, da sistemare sul video del computer) sono posizionati i ricevitori che in base al tempo impiegato dal segnale per rimbalzare nel circuito riescono a ricostruire la distanza guanto - reticolo ricevitore. Per riconoscere la configurazione della mano (ossia per la gestualita' tipo mano aperta, pugno, ecc) il guanto e' dotato di trasduttori particolari che posizionati su ogni singolo dito riescono a misurarne la flessione. In realtà la precisione del guanto e' molto scarsa dal momento che le flessioni delle dita vengono interpretate in soli 4 modi diversi: dito aperto, dito chiuso e le due posizioni intermedie.
Non abbiamo notizie di altri guanti virtuali dopo quelli realizzati da Mattel e modificati per altri usi su PC ma si tratta solo di una questione di mercato portare la tecnologia utilizzata in campo medico nei videogiochi.
Ma il tatto non si ferma ai guanti. E’ stato in commercio qualche anno fa una sorta di giubbetto virtuale che emetteva delle vibrazioni tali da farci sembrare di ricevere veramente colpi o proiettili (chiaramente potendo settare l’intensità delle vibrazioni).
Molto più ambizioso, è stato il progetto di creare una “tuta” virtuale ideata da Helena Velena, personaggio della cultura underground internazionale, a scopo di “cyber sex” su cui si è detto molto ma di cui bene nessuno sa.
Altre sperimentazioni in vari campi di tute virtuali sono state fatte in molte parti del mondo ma ad oggi non abbiamo notizie di modelli già in commercio.
Con la tuta virtuale in grado di produrre impulsi recepiti dal corpo come stimoli simili a quelli che provano i nostri organi recettivi nella vita di tutti i giorni, saremo quindi in grado di giungere ad immergerci in una realtà virtuale che avrebbe tutte le caratteristiche di quella reale.
In alcuni film di fantascienza si va oltre: si pensa alla possibilità di emettere impulsi in grado di simulare l’atto del camminare o del correre a chi non lo può fare normalmente.
In quest’ultimo caso, lo ripeto, stiamo parlando di fantascienza, per ora.
Quello che comunque era il motivo per cui ho inserito una parte dedicata alla sviluppo tecnologico sensoriale è dato dal fatto che la diffusione di massa di periferiche in grado di simulare le stimolazioni che viviamo nella realtà, darebbero al “videogioco” (virgolettato perché con tuta, guanti, caschetto ed altro non so bene perché lo dovremmo chiamare ancora solo video) una capacità suggestiva ed emozionale fino ad oggi impensabile su cui forse si pongono anche dei problemi fisico-mentali nella ricezioni di stimoli così potenti. Ma qui dovrebbe intervenire la scienza medica.
Quello che mi sento di ribadire è il fatto che all’entertainment del futuro non basterà più uno schermo sonoro: lo sviluppo tecnologico riuscirà letteralmente ad immergerci in realtà che più che definire virtuali, sarebbe giusto chiamare alternative.
A questo punto si aprirebbero anche “autostrade di discussioni” sugli effetti sociali di tale evoluzione ma aprire un discorso del genere vorrebbe dire iniziare a scrivere un’altra tesi.
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Re: Storia ed evoluzione dei videogiochi

Messaggio da PaTrYcK »

RICORDATI DI CRESCERE
di Stefano Silvestri

Nel limbo del tempo vagava la mia anima. Poi, non ricordo, sono entrato nella spirale della vita. Da miliardi di possibili combinazioni sono nato io. Potevano essere altri genitori, altri ovuli e spermatozoi, ma una costante in quel sottile calcolo probabilistico che fa di noi quello che siamo ha acceso la scintilla della mia esistenza.
Potevano essere diversi continenti, svariate nazioni, altre epoche, ma per me la sorte ha deciso un inizio: Milano, trent’anni fa. Non ci si riflette mai, ma quando si è piccoli si ha il mondo ai propri piedi: infinite possibilità, infinite vite, dimensioni parallele, futuri alternativi, immagini sfocate che, ma mano che si cresce, collimano in una sola nitida realtà. Quell'asilo, quella scuola elementare, quella scuola media. Poi, quasi che entrassimo in una sorta di imbuto, dove di tutto quello che potremmo essere ne esce solo un sottile filo, il primo restringimento: se andare a lavorare o se continuare a studiare.
E in quest’ultimo caso, quale scuola fare, la prima decisione su quello che si suppone sarà il nostro futuro. Quell’università, quel lavoro, quegli amici che ci vengono incontro solo perché si è deciso di voltare l’angolo e girare a destra invece che tirare dritti o girare a sinistra.
Quella fidanzata, quella moglie, quei figli, quella vecchiaia, quell'ultima notte, quell'ultimo respiro. Questa vita, non un'altra. Esistenze date da fibre sottili che girano l'una attorno all'altra fino a formare ciò che siamo, fili che a loro volta si incroceranno con altri fili fino a costruire la trama e l’ordito del mondo che ci sta attorno. Per ogni azione che decidiamo di non compiere la vita cambia lo stesso, solo che abbiamo l’illusione dell'autocontrollo.
Ricordati di crescere, dicevo nel titolo. Ricevo spesso lettere di persone che mi dicono, quasi vergognose, che nonostante la loro età seguono ancora il mondo dei videogiochi, che leggono ancora "tigiemme". Spesso fanno ciò a dispetto dei loro genitori, che vorrebbero che studiassero, delle loro ragazze, che vorrebbero al loro fianco degli uomini e non degli adolescenti, delle loro mogli, che sembrano non capire che nel fiume della vita alle fine arrivano tutti al mare, le correnti più veloci e quelle più lente, quelli cresciuti prima e quelli che lo hanno fatto dopo.
Spesso ho l'impressione che la gente non viva di vita propria, ma ragioni col tassametro: a tot anni ci si diverte, poi si deve mettere la testa a posto, poi si deve andare via di casa, poi ci si deve sposare, e se a una certa età non si è coniugati e con dei figli, beh, allora c'è qualcosa che non va. E guai a mettere in discussione questo meccanismo sul quale poggia la società civile: non si sarà mai visti come persone che semplicemente hanno un'altra filosofia, che vedono le cose a modo loro, che ascoltano ciò che viene dall'interno prima di ciò che viene dall'esterno, ma come dei bambinoni cresciuti, dei cocchi di mamma, dei figli di papà, dei Peter Pan.
Delle persone che hanno paura di diventare adulte. Un esempio, questo, di derisione altrui volta a incrementare la propria autostima, messa forse in dubbio dal fatto che ogni tanto, quando sì è finalmente diventati "grandi", prima di addormentarsi la sera si guarda nel buio e si sente che manca qualcosa, ma che cosa non si sa. O forse queste persone hanno ragione, e a una certa età si dovrebbe smettere di giocare, si dovrebbe mettere la freccia a sinistra, entrare in autostrada e andare avanti finché si ha benzina. Ci si dovrebbe confrontare con la realtà a 360°, smetterla di guardare il mondo che scorre fuori dalle finestre mentre i fosfori dei nostri monitor ci imprimono sulle retine dimensioni alternative delle quali non potremo mai sentire i profumi, assaggiare i sapori, toccare le increspature. Ma una cosa è certa: cresceremo ugualmente, non c'è da avere fretta. Prima o poi troveremo la nostra strada e diventeremo ciò che è scritto che dobbiamo diventare, o più semplicemente ciò che il più imprevedibile dei calcoli probabilistici deciderà per noi, o ancora ciò che la più complessa delle teorie del caos vorrà che sia.
E alla fine diventeremo uomini o donne, daremo il nostro contributo a questo mondo. Solo che potremo arrivare a questo punto sapendo che siamo stati vittime delle convenzioni, oppure potremo farlo illudendoci di aver ascoltato il nostro cuore, sapendo di aver fatto ciò che ci sentivamo di fare.
Siamo animali sociali e ciò che ci circonda influenza i nostri pensieri e influisce sulle nostre vite. Alle volte se si stringono gli occhi sembra che la maglia della rete che vuole catturare non siano poi così strette, che se ci facciamo piccoli piccoli forse possiamo passarci attraverso.
Ma non è così, e alla fine il risultato è che, come dicevo prima, ricevo lettere di persone che si giustificano, che si sentono in colpa, che mi scrivono all’insaputa dei propri genitori, della propria fidanzata, della propria moglie o del proprio capoufficio. Questo Backstage non lo dedico a tutti perché so che tra voi c'è chi gioca per il puro gusto di farlo, senza costrizioni, senza problemi, senza compromessi, forse perché ha ancora una certa età, forse perché non si pone il problema di fino a quando continuerà a farlo, forse perché nessuno gliel'ha ancora chiesto o forse perché qualcuno gliel'ha già chiesto ma se ne sbatte.
Lo dedico invece a chi si è riconosciuto nelle parole che ha scritto, a chi ha letto Peter Pan e gli è piaciuto, a chi non vede nel suo monitor uno schermo fluorescente ma una finestra che dà su mondi nuovi da scoprire, a chi ancora capace di emozionarsi davanti a dei pixel e non se ne vergogna.
Potrei dire altro ma mi fermo qui. Lascio che le righe successive siano le vostre considerazioni, i vostri pensieri, le vostre vite.


GLOSSARIO VIDEOLUDICO

Arcade: Videogiochi dai meccanismi immediati e di breve durata
Avventura: In gergo videoludico, genere non di azione ma in cui bisogna risolvere vari enigmi logici. Possono essere testuali, grafiche o “contaminate” dall’azione in 3D
Beta Test: Insieme di prove di un prodotto terminato prima di essere lanciato sul mercato
Beat’em up: Genere di videogiochi basato su vari tipi di combattimento
Codice di programmazione: Linguaggio comprensibile all'elaboratore con cui vengono scritti i programmi (diminutivo: codice)
Concept: Essenza originaria e più profonda di un gioco
Console: Macchina elettronica destinata esclusivamente a scopi ludici
Dolby surround: Sistema di codifica audio digitale che permette di riprodurre una colonna sonora utilizzando differenti tracce audio
Echelon: Rete di satelliti, basi terrestri e super-computer degli USA (in collaborazione con Canada, Gran Bretagna, Nuova Zelanda ed Australia) per permettere l'intercettazione di alcune particolari linee di trasmissione ma anche per intercettare indiscriminatamente quantitativi inimmaginabili di comunicazioni via qualsiasi mezzo o linea di trasmissione
Edutainment: Genere di Videogiochi con fini educativi o pedagogici
Fantasy: Relativo alle ambientazione fantastiche in stile Tolkien
Flop: Fallimento
Full Motion Video: Tecnica che consente di visualizzare durante un programma, filmati a tutto schermo
Gamepad: Periferica manuale di gioco
Gameplay: L’essenza del videogame ovvero la modalità di gioco
Gamers: Sinonimo per indicare i videogiocatori
Grafica vettoriale: Tecnica visiva composta da linee e curve definite da entità matematiche denominati vettori
Linkare: Collegare
Hardcore gamer: Giocatore appassionato ed incallito
Hardware: macchina elettronica in grado di rendere usabile all'uomo il software
Istant messenger: Programma usato per scambiare messaggi tramite Internet
Joystick: Periferica manuale di gioco
Laser game: Gioco basato sulla tecnologia laser
Main Theme: Termine per indicare la canzone o il tema musicale principale di una colonna sonora
Merchandising: L’insieme di metodi adatti a comunicare informazioni sul prodotto, promozioni ed eventi speciali e a rafforzare la comunicazione pubblicitaria attraverso veicoli di comunicazione non mediatici ma nel mondo dei videogiochi termine indicante anche tutti i prodotti realizzati con una licenza di un personaggio o di un gioco stesso
Microprocessore: Il "cuore" della struttura hardware di un computer o di una console
Mit: Massachussets Institute of Technology. Qui nacque Spacewar, il secondo videogioco della storia
Modelli poligonali: Figure tridimensionali composte da insiemi di poligoni
Multiplayer: Termine per indicare il gioco in contemporanea di vari utenti collegamenti tramite Internet o altri protocolli di collegamento.
On Line:Essere collegati ad Internet
Piattaforma (di gioco): Sinonimo, in gergo videoludico, indicante una macchina per videogiocare
Pirateria: Copiare e diffondere software in maniera illecita
Platform: Genere indicato anche con il sinonimo di "corri e salta" poichè sono queste le azioni più ricorrenti in questo tipo di giochi
Prequel: Videogioco ambientato in un tempo precedente al titolo originale
Reference: Prodotto ad alto valore informativo e con una componente ludica minima se non assente
Risoluzione video: Numero di punti (pixel) che è in grado di rappresentare uno schermo in orizzontale ed in verticale
Sequel: Seguito di un videogioco
Shooter: (Sinonimi: shoot'em up o spara tutto) Genere basato sul colpire vari generi di avversari/bersagli
Simulazioni: Genere dedicato al tentativo di riprodurre fedelmente l'uso di mezzi (aerei, auto), azioni o eventi
Software: programmi informatici di vario genere
Silicon Valley: Area a sud di San Francisco in cui sono nate le più importanti aziende del settore informatico
Software House: Produttore di programmi informatici
Subwoofer: Cassa sonora separata per la riproduzione delle basse frequenze
Videogaming: Il videogiocare
X Generation: Termine per indicare i nati fra la seconda metà degli anni '70 e la prima degli anni '80
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Re: Storia ed evoluzione dei videogiochi

Messaggio da loller »

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Re: Storia ed evoluzione dei videogiochi

Messaggio da mossfet »

Manca qualche paragrafo, e qualche riga salta, impaginandolo in pdf sarebbe molto più leggibile... Per il resto grazie...
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Re: Storia ed evoluzione dei videogiochi

Messaggio da calippo »

Sarebbe possibile mettere un link per scaricare il testo originale? :)
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Re: Storia ed evoluzione dei videogiochi

Messaggio da PaTrYcK »

E' un vecchio link che avevo salvato su word, probabilmente incollando sul forum (che nn permette dpiu' 60000 caratteri a msg) devo essermi perso qualcosa, provo a cercare il link originale, vediamo se esiste ancora
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cyborg

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Re: Storia ed evoluzione dei videogiochi

Messaggio da cyborg »

Ti ci vuole un grosso applauso anche solo per l'impegno e lo spirito di condivisione <-clap->
Se trovi anche il link originale, tanto di guadagnato <-thumbup->
Grazie di tutto ARCADE IT AL IA

*Cybercab: arcadeitalia.net/viewtopic.php?f=21&t=15552
*Cybercab 2.0: arcadeitalia.net/viewtopic.php?f=21&t=16180
*Cybercab MAXI: arcadeitalia.net/viewtopic.php?f=67&t=21582&hilit=cybercab+maxi
TRACKBALL fai da te: viewtopic.php?f=14&t=20941
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Re: Storia ed evoluzione dei videogiochi

Messaggio da ourdeardexter »

Complimenti bel lavoro
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